Società di mero godimento e obblighi contributivi del socio accomandatario

Società di mero godimento e obblighi contributivi del socio accomandatario

  • 28 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
Con sentenza n. 1160/2025, la Corte d'Appello di Milano è tornata ad escludere l'obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti di un socio accomandatario di una società di mera gestione immobiliare. L'attività della società non poteva considerarsi commerciale, essendo limitata al godimento di immobili di proprietà della stessa. E l'INPS non aveva dato prova dei caratteri di abitualità e prevalenza dell'attività del socio. Negli ultimi anni, l'INPS ha intensificato i controlli sui soci di società di persone per verificare l'obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti, nell'ambito della cosiddetta Operazione Poseidone (messaggio INPS n. 2345, 7 giugno 2017). Questo piano ispettivo, basato essenzialmente sul controllo incrociato con i dati in possesso dell'Agenzia delle Entrate, ha portato a numerosi accertamenti contributivi nei confronti di soci di società di persone che risultavano aver svolto attività lavorativa nell'impresa. Tale impostazione ha ingenerato un grosso contenzioso anche con riferimento alle società di mera gestione immobiliare, ovvero quelle società che si limitano ad amministrare e godere dei propri immobili senza svolgere un'attività di compravendita o locazione in forma d'impresa. Secondo l'INPS, infatti, l'attività di gestione degli immobili dovrebbe rientrare nell'alveo delle attività commerciali facendo scattare, di conseguenza, l'obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti. L'obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti è disciplinato dall'art. 1, commi 202 e 203  della Legge 662/1996, ove si prevede che «A decorrere dal 1° gennaio 1997 l'assicurazione obbligatoria, per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti di cui alla legge 22 luglio 1996 n. 613 ... è estesa: ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività di cui all'art. 49, comma 1, lettera d) della legge 9 marzo 1988 n. 89 … » e che (primo comma dell'articolo 29 della legge 3 giugno 1975, n. 160, lett. c)) «partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza».  L'iscrizione alla Gestione Commercianti, in altri termini, è obbligatoria quando sussistano congiuntamente due requisiti:

- quando la società svolge un'attività commerciale (c.d. requisito oggettivo);
- quando vi sia prova dei caratteri di abitualità e prevalenza dell'attività del socio (c.d. requisito soggettivo).

Posizione della giurisprudenza e l'onere della prova a carico dell'INPS. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che «l'obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali sorge nel caso di svolgimento di attività commerciale in qualità di titolare o gestore di imprese che siano dirette e/od organizzate prevalentemente con il lavoro proprio o di componenti familiari e partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di prevalenza e abitualità. Presupposto imprescindibile affinché sussista il detto obbligo è costituito dall'esercizio di attività imprenditoriali di natura commerciale» (Cass. 11 febbraio 2013 n. 3145; vds. anche Cass. 18 maggio 2010, n. 12108). In altri termini, il primo e necessario presupposto per l'iscrizione alla gestione commercianti del socio è dunque la partecipazione allo svolgimento delle attività commerciali della società, che non possono consistere nella sola attività di riscossione dei canoni degli immobili concessi in locazione; in tal caso, infatti, la giurisprudenza ritiene che non sussistano «i presupposti per l'iscrizione dell'intimata nella gestione commercianti [...] perché l'attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività d'impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale» (Cass. n. 3145 del 2013), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845 del 2010) [...] (cfr. tra le tante Cass. 30.12.2016, n. 27589; di recente vedasi anche Cass. 25.10.2021 n. 29913, secondo la quale «l'eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell'art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri»). Sul piano generale, poi, costituisce ormai principio giurisprudenziale pacifico quello per cui «la qualifica di socio di una società di capitali (con responsabilità limitata al capitale sottoscritto e con partecipazione alla realizzazione dello scopo sociale esclusivamente tramite il conferimento del capitale) [non] può essere significativa dell'esercizio di diretta attività commerciale nell'azienda» (così Cass. 27.01.2021 n. 1759). Per quanto concerne il requisito dell'abitualità e prevalenza, la Cassazione ha chiarito che:  «il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza deve essere inteso in relazione ad un criterio non predeterminato di tempo e di reddito, da accertarsi in senso relativo e soggettivo, ossia facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l'oggetto sociale della s.r.l. (ovviamente al netto dell'attività esercitata in quanto amministratore)» (così Cass. civ., ord. 4 maggio 2018, n. 10763). La medesima ordinanza ha altresì precisato che «la partecipazione personale al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente (anche attraverso un'attività di coordinamento e direttiva) è cosa diversa e non può essere scambiata con l'espletamento dell'attività di amministratore»; ciò in quanto «occorre distinguere tra prestazione di lavoro ed attività di amministratore; e la distinzione delle due posizioni è alla base dei dati normativi di partenza posto che, appunto, la legge ai fini della iscrizione alla gestione commercianti richiede come titolo che il socio partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; mentre qualora il socio si limiti ad esercitare l'attività di amministratore egli dovrà essere iscritto alla gestione separata» (cfr. sempre Cass. civ., ord. 4 maggio 2018, n. 10763). Il tutto va coordinato con il principio generale – cui è tendenzialmente informato il contenzioso in materia previdenziale – secondo cui «nel giudizio promosso per l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo contributivo preteso dall'INPS, incombe sull'Istituto previdenziale la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria» (Cass. 6 settembre 2012, n. 14965; in senso conforme, Cass. n. 22862/2010; Cass. n. 12108/2010 in conformità peraltro a Cass. n. 19762/2008). Sentenza della Corte d'Appello di Milano: irrilevanza dell'iscrizione volontaria alla Gestione Commercianti. Con la sentenza in commento, la Corte milanese ha aderito all'orientamento giurisprudenziale dominante, dando innanzitutto prevalenza al fatto che «l'attività della società non può dirsi commerciale nel senso inteso dalla giurisprudenza sopra citata, essendo limitata al godimento di un immobile di proprietà tramite locazione da molti anni al medesimo conduttore». Inoltre (prosegue la sentenza), nel caso di specie non poteva nemmeno ritenersi integrato il requisito dell'attività e prevalenza, dal momento che «le attività necessarie alla locazione ed agli adempimenti fiscali erano svolte dall'ex compagno e dal figlio» della ricorrente (una società accomandataria). L'attività istruttoria svolta in sede di appello, infatti, aveva evidenziato che tutti gli adempimenti connessi alla gestione della società erano svolti dal commercialista, che ne teneva anche la contabilità. L'attività della socia accomandataria, in altri termini, era pressoché nulla, e si limitava (tramite lo schema societario) al «godimento» dell'immobile, ossia a percepire i proventi dell'attività, consistenti – per l'appunto - nell'incasso dei canoni di locazione. Val la pena evidenziare che il Giudice del primo grado era giunto a diverse conclusioni, ritenendo che la ricorrente, in quanto socia accomandataria della società, avesse l'esercizio esclusivo dell'impresa, oltre ad essere responsabile della conduzione della stessa, con occupazione abituale e prevalente. La Corte, oltre ad affermare i predetti principi, ha altresì evidenziato l'assoluta irrilevanza del fatto che la ricorrente si fosse iscritta volontariamente alla Gestione Commercianti (a suo dire senza ritenere di esser tenuta a farlo); come correttamente è stato affermato dai giudici milanesi, infatti, «l'iscrizione alla gestione previdenziale in questione deve essere effettuata quando ne ricorrano i presupposti di legge, non essendo lasciata ad una libera opzione del contribuente versare i contributi se non sussistono i presupposti per l'iscrizione». Conclusione, questa, pienamente coerente con il principio di indisponibilità dell'obbligazione contributiva desumibile dall'art. 2115, comma 3 c.c. che dispone la nullità di qualsiasi patto diretto ad eludere l'obbligazione contributiva (principio cui fa da corollario, come noto, la regola che impedisce all'ente previdenziale di pretendere o anche solo accettare il versamento dei contributi prescritti; v. art. 55, RDL 4 ottobre 1935, n. 1827 e art. 3, comma 9 Legge 335/1995).

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL