Legittimo criticare il datore di lavoro su una piattaforma online aperta a tutti

Legittimo criticare il datore di lavoro su una piattaforma online aperta a tutti

  • 27 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
È illegittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che pubblica un post critico verso il datore di lavoro sul profilo creato da quest’ultimo su una piattaforma informatica aperta alle recensioni «di qualsiasi persona», aggiungendovi una votazione negativa espressa con il punteggio più basso su una scala da uno a cinque. È irrilevante che la piattaforma utilizzata per veicolare il post non fosse circoscritta a un nucleo chiuso, se il messaggio pubblicato dal lavoratore costituisce espressione del diritto di critica. Il post era visibile sul profilo aperto dalla società su “Google My Business” ed era accessibile non solo ai dipendenti, ma ai fornitori, ai clienti e alle stesse aziende concorrenti. Il lavoratore lo aveva utilizzato per pubblicare il messaggio «perdete ogni speranza…», accompagnandolo con il voto di una sola stella. La società ha licenziato il lavoratore, che ha impugnato la decisione con esito favorevole in primo grado. La Corte d’appello ha, tuttavia, ribaltato la sentenza osservando che il messaggio veicolato sul profilo del datore e il punteggio negativo erano espressione di una consapevole denigrazione, integrando gli estremi della diffamazione aggravata. Non è dello stesso avviso la Suprema corte, per la quale l’espressione oggetto di addebito disciplinare («perdete ogni speranza») e il punteggio costituivano legittimo esercizio del diritto di critica. La Cassazione osserva (sentenza 5331/2025) che il diritto di critica è tutelato dalla Costituzione (articolo 21) e dalla Cedu (articolo 10) come espressione della libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Nello specifico contesto dei rapporti di lavoro, soccorre lo statuto dei lavoratori (articolo 1), che riconferma il diritto dei dipendenti a manifestare liberamente il proprio pensiero nei luoghi in cui viene esercitata la prestazione. La Cassazione osserva che il pensiero critico reca in sé un giudizio negativo e di dissenso o disapprovazione di comportamenti altrui, ma non per questo può essere legittimamente censurato. Nel bilanciamento dei contrapposti interessi al diritto di critica, da una parte, e all’onore e alla reputazione, dall’altra, occorre accertare se la critica è stata espressa con linguaggio misurato e nel rispetto della veridicità dei fatti, senza risolversi in una gratuita e distruttiva aggressione. È in questo perimetro che la Suprema corte invita a contestualizzare il messaggio critico e la votazione negativa espressi dal lavoratore utilizzando il profilo aperto dal datore sulla piattaforma ad accesso libero. La Cassazione contesta che la critica del lavoratore, per essere legittima, debba essere necessariamente costruttiva, sollecitando un ripensamento nel datore. Al contrario, il pensiero critico costituisce espressione di dissenso e disapprovazione e può anche consistere in uno sfogo o in una manifestazione di sconforto, a condizione che siano rispettati i confini della continenza formale e sostanziale. In questi parametri si è mantenuta la condotta del dipendente, senza che abbia rilievo la potenziale diffusione del messaggio oltre il perimetro aziendale. La sentenza è un invito alle imprese a fare attenzione quando decidono di avvalersi delle piattaforme informatiche per i propri contenuti, perché anche in questo ambito i lavoratori possono esercitare il diritto di critica, somma espressione della libertà di pensiero.

Fonte: SOLE24ORE