La tolleranza del datore non giustifica il lavoratore che fuma in aree proibite

La tolleranza del datore non giustifica il lavoratore che fuma in aree proibite

  • 27 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
La tolleranza del datore di lavoro rispetto alla violazione del divieto di fumo in una determinata zona non è di per sé idonea a escludere l’antigiuridicità della condotta. È quanto, in sintesi, ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 7826/2025 del 24 marzo. Un dipendente di una società di logistica operante in un aeroporto è stato licenziato per giusta causa per aver fumato nei pressi dell’area air-side, ovvero la zona riservata situata oltre i controlli di sicurezza, dove si trovano le piste, i raccordi, le aree di rullaggio e le aree di imbarco/sbarco degli aerei, insieme a una decina di colleghi, nonostante fosse consapevole del divieto di fumo. Nell’area non era presente alcun cartello recante il divieto e la società era a conoscenza della prassi dei lavoratori di fumare in tale zona. La Corte d’appello ha dichiarato illegittimo il licenziamento e applicato la tutela reintegratoria, ritenendo che la comprovata “tolleranza” da parte del datore di lavoro rispetto all’abitudine dei dipendenti di fumare in quella zona, in assenza di un’apposita segnaletica di divieto, fosse indicativa di una valutazione di tale prassi come non illecita. Contro la sentenza della Corte d’appello, la società datrice ha proposto ricorso in Cassazione. La Suprema corte ha ribadito che la tolleranza del datore di lavoro rispetto alla violazione del divieto di fumo in una determinata area non è di per sé idonea a escludere l’antigiuridicità della condotta, né dal punto di vista oggettivo né da quello soggettivo. In ipotesi di tolleranza di condotte illecite, la mera mancata reazione del soggetto deputato al controllo non è sufficiente a escludere l’illiceità della condotta stessa. Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, è sufficiente la semplice colpa; la buona fede, con conseguente esclusione della responsabilità, ricorre solo quando l’errore sulla liceità della condotta risulti inevitabile. È inoltre necessario che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, affinché l’errore risulti incolpevole, ossia non evitabile con l’ordinaria diligenza. Nel caso di specie, accertata l’esistenza del divieto di fumo nell’area air-side e la consapevolezza del lavoratore in merito, è erroneo attribuire alla tolleranza del datore di lavoro nel reprimere le violazioni l’effetto di escludere l’antigiuridicità della condotta del dipendente, senza indagare la presenza di ulteriori elementi idonei a ingenerare nel lavoratore l’incolpevole convinzione della liceità della propria condotta. Occorre verificare se il dipendente abbia fatto, in buona fede, tutto il possibile per rispettare il divieto di fumo, così da non poter essergli mosso alcun rimprovero, oppure se abbia semplicemente approfittato dell’inerzia del datore di lavoro fino a quel momento. La sentenza della Corte d’appello, che ha dichiarato illegittimo il licenziamento, è stata dunque cassata dalla Suprema Corte.

Fonte: SOLE24ORE