Ritorsivo il licenziamento del dipendente messo nelle condizioni di non lavorare
- 21 Marzo 2025
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È ritorsivo il licenziamento della guardia giurata che, a causa della propria statura, non poteva utilizzare l’auto di servizio assegnatagli. Lo ha deciso la Cassazione con ordinanza 6966/2025 del 16 marzo. Il caso riguarda il licenziamento di un lavoratore con mansioni di guardia giurata a seguito di procedimento disciplinare per rifiuto reiterato di prestare l’attività lavorativa e conseguente insubordinazione e abbandono del posto. Il fatto all’origine del rifiuto era l’assegnazione allo stesso di un’autovettura nella quale, per la sua corporatura e alta statura, non riusciva a entrare fisicamente essendo tra l’altro la stessa priva di sedile regolabile. Dimostrata l’incongruità del mezzo e ritenuta l’assegnazione effettuata per porre in difficoltà il dipendente, il Tribunale, con dispositivo confermato dalla Corte di appello, ha dichiarato la nullità del licenziamento, considerandolo ritorsivo, e condannato la società alla reintegrazione del lavoratore e alla corresponsione di un’indennità risarcitoria. La Cassazione respinge il ricorso proposto dalla società e propone un’interessante ricognizione sui requisiti di legittimità dell’eccezione del “inademplimenti non est adimplendum” ovvero il principio, previsto dall’articolo 1460 del Codice civile, per il quale la parte può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico se l’altra non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria. In primo luogo, il rifiuto deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio. L’eccezione, continua la Cassazione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte sia desumibile, in modo non equivoco dall’insieme delle difese della parte. Infine, la Cassazione ricorda che il rifiuto del lavoratore è legittimo, a norma dell’articolo 1460, nei limiti di una proporzione all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e alla conformità al canone di buona fede. In particolare, la non contrarietà alla buona fede, da riscontrare in termini oggettivi, richiede l’equivalenza tra l’inadempimento del datore e il rifiuto di rendere la prestazione, il quale deve essere successivo e casualmente giustificato dall’inadempimento stesso. La valutazione e la verifica dei requisiti di legittimità è rimessa al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità. La Cassazione, rilevata la corretta applicazione dei principi di diritto enunciati nella sentenza, da parte dei giudici di merito, i quali hanno ricavato dagli elementi di fatto raccolti la prova della buona fede del lavoratore nell’opporre eccezione di inadempimento a un ordine di servizio impraticabile, conferma la ritorsività del licenziamento.
Fonte: SOLE24ORE