Gli accomodamenti ragionevoli possono essere modificati

Gli accomodamenti ragionevoli possono essere modificati

  • 19 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
Il lavoratore disabile ha diritto a poter svolgere la propria prestazione lavorativa in regime di lavoro agile anche quando l’accordo aziendale in materia di smartworking non lo preveda in relazione alle mansioni alle quali il dipendente è addetto, salvo che tale modalità di svolgimento della prestazione non richieda oneri finanziari sproporzionati in capo al datore di lavoro per la fornitura degli strumenti necessari e per l’effettuazione della relativa formazione. È questo il principio affermato dalla sentenza 605/2025, della Corte di cassazione, secondo la quale lo smart working si configura come un “ragionevole accomodamento” per consentire al disabile lo svolgimento della prestazione in condizioni di parità rispetto ai colleghi. Nella motivazione il Supremo collegio ha, innanzi tutto premesso come la normativa nazionale e sovranazionale in materia di tutela contro la discriminazione sulla base della disabilità richiede l’individuazione di soluzioni ragionevoli per assicurare il principio di parità di trattamento dei disabili, garantito dall’articolo 5 della direttiva 2000/78/Ce, ovvero degli accomodamenti ragionevoli di cui alla convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, alla cui luce vanno interpretate le direttive normative antidiscriminatorie Ue (Cassazione 9095/2023, 14316/2024, 24052/2024). Tanto premesso, la Corte ha individuato nello svolgimento dell’attività in regime di smart working dall’abitazione il ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, risulta idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, da un lato l’interesse del lavoratore disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla propria condizione psico-fisica e, dall’altro, quello del datore di lavoro a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa (al quale, peraltro, la società aveva già fatto ricorso nel periodo pandemico). La Cassazione ha sottolineato altresì come gli accomodamenti ragionevoli ben possono realizzarsi in sede negoziale, ma, in mancanza di accordo, la soluzione del caso concreto è individuata dal giudice di merito. Il principio affermato dalla Cassazione va ben oltre la disciplina legale in materia che, esaurita la fase normativa emergenziale, si limita a stabilire che i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici e dai lavoratori con disabilità in situazione di gravità (articolo 18 della legge 81/2017). In termini è la recente articolata sentenza del Tribunale di Mantova 77/2025 del 5 marzo che, pur non richiamando in motivazione il precedente della Suprema corte, ha riconosciuto il diritto del lavoratore con disabilità in situazione di gravità secondo l’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992, all’attivazione del lavoro agile quale accomodamento ragionevole per l’esercizio del diritto al lavoro, in attuazione dei principi antidiscriminatori previsti dall’articolo 5 della direttiva 2000/78/Ce. Nel caso esaminato dal Tribunale di Mantova il lavoratore aveva riportato un’importante invalidità psico-fisica, a seguito di un grave infortunio sul lavoro, con il riconoscimento di invalidità in condizione di gravità e aveva nel corso del tempo sviluppato una sempre più marcata sofferenza psichica rispetto ai luoghi di lavoro aziendali, associati all’evento traumatico, che gli impediva lo svolgimento delle attività lavorative nei locali della società (peraltro limitata a 3 giorni a settimana, in base ad un accordo intervenuto a definizione della fase d’urgenza della causa), costringendolo a ripetute assenze per malattia. Lo psichiatra curante aveva individuato nello smart working la soluzione organizzativa adeguata per fronteggiare tale situazione. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del dipendente a svolgere l’attività in regime di lavoro agile per almeno tre giorni alla settimana, ritenendo non provate dalla società le esigenze organizzative ostative all’estensione dello smart working (non eseguibilità da casa in tutto o in parte delle attività affidate e di quelle espletate in epoca antecedente alla richiesta di lavoro agile) e/o l’inutilità della prestazione con modalità “agile” e/o la necessità di sostenere oneri finanziari sproporzionati e/o il pregiudizio per le condizioni di lavoro dei colleghi di lavoro. Il Tribunale ha, infine, concluso, condividendo la tesi difensiva della società, che gli accomodamenti ragionevoli devono essere «contestualizzati» e , quindi, disposti e adottati tenendo conto della conciliabilità degli stessi con le specifiche e «attuali» esigenze organizzative e produttive della società e che non si può escludere una modifica in futuro delle modalità attuative della prestazione, fatta salva la possibilità per il lavoratore di contestare tali eventuali variazioni.

Fonte: SOLE24ORE