Licenziamento nullo: la chat WhatsApp è un diario riservato

Licenziamento nullo: la chat WhatsApp è un diario riservato

  • 12 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
Licenziamento disciplinare e chat privata: la Corte di Cassazione ribadisce la segretezza della corrispondenza digitale, invalidando il recesso basato sul contenuto dei messaggi fra colleghi. Il licenziamento disciplinare fondato esclusivamente su messaggi inviati in una chat privata costituisce un tema di grande rilevanza, in cui si intrecciano il diritto alla riservatezza del lavoratore e i poteri organizzativi e disciplinari del datore di lavoro. Di recente, la Corte di Cassazione ha confermato la tutela della segretezza della corrispondenza nelle comunicazioni digitali, richiamando sia la garanzia costituzionale di cui all’art. 15 Cost. sia i precedenti della stessa Corte in materia di giustificazioni disciplinari (Cass. 21965/2018). 
Quadro normativo e i principi costituzionali
Art. 15 Cost.: sancisce l’inviolabilità della libertà e segretezza di ogni forma di corrispondenza, estendendone la protezione anche ai moderni strumenti di comunicazione (C.Cost. 170/2023).
Statuto dei Lavoratori (L. 300/70): vieta i controlli a distanza eccessivamente invasivi (art. 4) e stabilisce i principi di correttezza procedurale e sostanziale in caso di sanzioni, tra cui la più grave rappresentata dal licenziamento disciplinare (art. 7).
Codice Civile (artt. 2104 e 2105 c.c.): impone al lavoratore l’obbligo di diligenza e fedeltà, ma non può comprimere il diritto soggettivo alla libertà di comunicazione negli spazi privati e ristretti, come appunto un gruppo di colleghi su WhatsApp.
In questa cornice, risulta essenziale valutare se le comunicazioni scambiate in una chat privata possano essere utilizzate dal datore di lavoro per avviare o giustificare un recesso in tronco. Il discrimine è dato dal carattere di riservatezza e dalla correlata aspettativa di segretezza che i partecipanti si attendono in modo legittimo. La pronuncia in commento trae origine dal caso di una dipendente, licenziata per aver inviato un video sulla chat privata dei colleghi nel quale si riprendeva una cliente in negozio. La società datrice di lavoro lamentava un danno all’immagine aziendale e un trattamento illecito dei dati della persona filmata. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito che:

la corrispondenza privata è tutelata: la diffusione del contenuto da parte di uno dei destinatari non cancella il carattere riservato del messaggio iniziale.
il contenuto in sé della comunicazione non giustifica il licenziamento: non basta la mera invocazione di un ipotetico rischio per l’immagine aziendale a trasformare un messaggio privato in condotta disciplinarmente rilevante.
bilanciamento fra poteri datoriali e diritti costituzionali: il datore di lavoro non dispone di una prerogativa sanzionatoria illimitata che possa prevalere sul diritto del lavoratore alla segretezza della corrispondenza; tale diritto resta intangibile anche quando la comunicazione avvenga mediante dispositivi elettronici personali.
In particolare, la Cassazione ha ribadito come l’invio di messaggi a un gruppo chiuso di destinatari, con l’intento di escludere soggetti terzi, rientri pienamente nell’ambito della libertà di comunicazione (Cass. 21965/2018). L’illegittima divulgazione da parte di un partecipante non può tradursi in una colpa disciplinare del mittente, né giustificarne il licenziamento. I nodi interpretativi e le coordinate pratiche: obbligo di fedeltà vs. libertà di comunicazioneIl lavoratore ha il dovere di non danneggiare l’impresa (art. 2105 c.c.), ma tale obbligo non può spingersi a vietare ogni comunicazione privata. Se il contenuto di un messaggio ha carattere confidenziale e non si estende a un pubblico indifferenziato, la tutela della segretezza prevale.

Esempio: un semplice scambio di critiche fra colleghi su un gruppo ristretto non integra l’offesa diretta e volontaria all’onore del datore di lavoro (Cass. 21965/2018).
Se un messaggio riservato finisce, per volontà di uno dei membri del gruppo, all’attenzione dell’azienda, si configura una fattispecie di indebita divulgazione. Il datore, prima di sanzionare la dipendente, avrebbe dovuto verificare la legittimità dell’acquisizione della prova e bilanciarla con il diritto alla riservatezza del lavoratore. Spesso, infatti, l’uso di contenuti provenienti da chat chiuse è assimilato a un controllo a distanza non autorizzato, in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, qualora venga eseguito tramite dispositivi personali. Profili operativi: redigere i codici disciplinari

Per evitare fraintendimenti e liti giudiziarie, le aziende dovrebbero:

Precisare in modo univoco i comportamenti esterni (pubblici) che ledono l’immagine aziendale.
Distinguere tra comunicazioni in contesti aperti (social network non protetti, blog, forum pubblici) e chat privata fra colleghi.
Formare il personale sui limiti di utilizzo dei dispositivi aziendali, chiarendo cosa rientri nella sfera di controllo del datore.
Prevedere specifiche tutele della privacy del lavoratore e procedure di accertamento rispettose dell’art. 4 St. Lav. La Corte di Cassazione conferma l’indirizzo per cui un licenziamento disciplinare basato sul contenuto di una comunicazione segreta, inviata tramite chat privata, risulta illegittimo. L’art. 15 Cost. garantisce la segretezza della corrispondenza e il datore di lavoro non può valersi di prove acquisite da un contesto ritenuto protetto, se tali prove si risolvono nella semplice punizione di uno scambio privato. Ne consegue che:
La riservatezza e la libertà di espressione del lavoratore prevalgono sulle mere esigenze di tutela dell’immagine aziendale, qualora l’iniziativa comunicativa non abbia superato la soglia di divulgazione pubblica o violato obblighi specifici previsti dal CCNL.
L’impresa, per legittimare un recesso in tronco, deve dimostrare una condotta realmente lesiva degli interessi aziendali e non meramente potenziale.
La tutela della privacy del lavoratore si applica anche alle piattaforme di messaggistica istantanea, che vanno assimilate a corrispondenza in busta chiusa.
In definitiva, l’equilibrio tra i diritti fondamentali della persona e la disciplina del rapporto di lavoro impone prudenza nell’utilizzo di documenti e messaggi estrapolati da contesti chiusi e la segretezza della corrispondenza costituisce un limite invalicabile per ogni intervento disciplinare.  

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL