No al licenziamento se il video è postato su una chat di gruppo
- 7 Marzo 2025
- Pubblicazioni
Il lavoratore che trasmette al datore di lavoro il video postato sulla chat costituita su WhatsApp da un gruppo chiuso di lavoratori, da cui poi deriverà il licenziamento della collega autrice del video, viola il principio di rango costituzionale di segretezza delle comunicazioni scambiate tra privati. I contenuti veicolati dai lavoratori sulla chat di gruppo, cui possono accedere solo i membri ammessi dall’amministratore, sono espressione del diritto di corrispondenza e la loro divulgazione al datore da parte di uno dei partecipanti costituisce violazione del diritto di riservatezza e di segretezza scolpiti nell’articolo 15 della Costituzione. La riservatezza della corrispondenza è tutelata anche se il mezzo utilizzato per l’invio e lo scambio di messaggi, video e foto è costituito dall’applicazione WhatsApp, in quanto il dato dirimente è che l’accesso ai contenuti della chat era delimitato al ristretto nucleo di lavoratori ammessi. La tutela del diritto di riservatezza della corrispondenza ricomprende, infatti, ogni strumento che delimita la platea dei soggetti ammessi allo scambio di contenuti, inclusi i sistemi di messaggistica istantanea come la app WhatsApp. In tale contesto, il lavoratore che partecipa al gruppo chiuso attivato sulla app e trasmette al datore di lavoro il video che, in precedenza, era stato “postato” sulla chat da un’altra collega compromette la segretezza delle comunicazioni e viola il diritto di riservatezza. Questi principi sono stati espressi dalla Cassazione (sentenza 5334 del 28 febbraio 2025) nella causa promossa dalla dipendente di un negozio di prodotti del lusso, licenziata in tronco per avere diffuso in chat la ripresa video di una cliente «particolarmente corposa» con la palese intenzione di metterne alla berlina le «fattezze fisiche». Il video era stato inserito sulla chat di gruppo dall’utenza telefonica privata della dipendente licenziata e il datore ne aveva avuto conoscenza a seguito della trasmissione da parte di una collega partecipante alla medesima chat. La Corte d’appello di Venezia, riformando la decisione di primo grado, aveva confermato la legittimità del licenziamento sul presupposto di una condotta plurioffensiva della dipendente autrice del video, per lesione dell’immagine della società e della cliente. Non è dello stesso avviso la Corte di legittimità, per la quale è dirimente che il video fosse stato scambiato all’interno di una chat privata, cui erano ammessi un gruppo chiuso di lavoratori del negozio (in tutto 15 persone). Proprio il carattere privato della chat su WhatsApp era indice dell’interesse dei partecipanti a non divulgare i contenuti scambiati all’interno del gruppo e, quindi, a tutelarne la segretezza contro l’accesso da parte di destinatari diversi. Su questo rilievo riposa la decisione della Cassazione per cui i contenuti diffusi sulla chat privata della app, anche se il loro oggetto poteva essere offensivo verso il datore, non può integrare una giusta causa di licenziamento. In forza di questi stessi rilievi, la Corte rimarca che a violare il diritto di corrispondenza era stata, invece, la collega della lavoratrice licenziata, in quanto la divulgazione del video al datore di lavoro costituiva violazione della segretezza che doveva circondare i messaggi scambiati nella chat del gruppo. Si rimarca che l’iniziativa della collega costituiva non solo violazione del diritto di segretezza della corrispondenza, ma era avvenuta in danno della lavoratrice licenziata.
Fonte: SOLE24ORE