Formazione per una nuova mansione prima di licenziare

Formazione per una nuova mansione prima di licenziare

  • 3 Marzo 2025
  • Pubblicazioni
Al fine di evitare l’extrema ratio del licenziamento per sopravvenuta inidoneità permanente del lavoratore invalido, si deve prima verificare lo spazio per una formazione abilitante allo svolgimento di altre mansioni. Non è sufficiente, infatti, che il datore di lavoro alleghi l’incapacità del dipendente rispetto ad altre mansioni disponibili, ma occorre che egli dimostri come tale incapacità sopravvive nonostante una «adeguata formazione». È principio consolidato che, se il licenziamento per inidoneità sopravvenuta riguarda una persona gravata da invalidità, il datore non possa limitarsi a dimostrare l’indisponibilità di mansioni alternative nella struttura aziendale, ma debba altresì allegare l’impossibilità di accomodamenti organizzativi ragionevoli. In un contesto nel quale risultano presenti mansioni alternative, l’applicazione di questo principio presuppone che, prima di ogni iniziativa espulsiva, il lavoratore invalido sia sottoposto a un percorso formativo. Solo se, a valle della formazione, permane l’inidoneità anche sulle mansioni alternative aziendalmente disponibili, allora il licenziamento del soggetto invalido per inidoneità sopravvenuta può essere legittimo. A queste conclusioni è pervenuto il Tribunale di Bari (sentenza del 17 dicembre 2024, giudice Vernia) nella controversia promossa da un operaio forestale che, a causa di una grave invalidità, è risultato permanentemente inidoneo alla mansione. Per un breve periodo, il datore di lavoro lo ha adibito ad attività di carattere amministrativo nei locali della sede forestale, ma successivamente lo ha sospeso e, infine, licenziato. Il datore si è difeso sostenendo che il dipendente, da un lato, non era stato formalmente riconosciuto come persona disabile e, d’altro lato, non era idoneo a ricoprire nessun’altra mansione di livello pari o inferiore al bagaglio di competenze posseduto. Il giudice di Bari non condivide queste argomentazioni e osserva che la condizione di disabilità per cui opera il meccanismo degli “accomodamenti ragionevoli”, secondo l’articolo 3, comma 3-bis, del Dlgs 216/2003, non è limitata al solo dato medico, ma abbraccia i «processi di esclusione determinati da barriere economico-sociali».  Ricollegandosi agli approdi della Corta di giustizia Ue, il giudice barese osserva che la nozione di disabilità (da cui consegue l’obbligo di fare applicazione delle soluzioni ragionevoli) include la condizione patologica risultante da una duratura menomazione fisica, mentale o psichica tale da ostacolare la partecipazione effettiva alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Il giudice rileva, quindi, che non è sufficiente allegare l’incapacità del dipendente invalido alle mansioni amministrative, in quanto è onere del datore dimostrare che, in adempimento degli accomodamenti ragionevoli, tale incapacità è sopravvissuta anche se al lavoratore è stata somministrata una adeguata formazione. Su queste valutazioni riposa la decisione del giudice di annullare il licenziamento e reintegrare in servizio il lavoratore invalido. La formazione è, dunque, un elemento qualificante degli accomodamenti ragionevoli a cui il datore si deve determinare, in presenza di teoriche mansioni alternative, prima di poter licenziare per sopravvenuta inidoneità il dipendente afflitto da una condizione di disabilità. Solo dopo la fase formativa, se permane l’incapacità anche rispetto alle altre mansioni disponibili in azienda, risulta soddisfatto il tentativo di una applicazione ragionevole degli accomodamenti organizzativi.

Fonte: SOLE24ORE