In base alla legge 203/2024, da quest’anno è possibile riscattare i periodi in cui si è lavorato, ma non sono stati versati i contributi, anche se sono trascorsi dieci anni dalla prescrizione dell’obbligo contributivo. Infatti il Collegato lavoro ha introdotto questa possibilità, aggiuntiva rispetto a quelle esistenti, ma con onere interamente a carico del richiedente.
In sostanza, a fronte del buco contributivo, si possono percorrere tre strade in base al momento in cui ci si attiva:
- se i contributi non sono prescritti (entro cinque anni da quando doveva essere versati), lo si segnala all’Inps che si attiva nei confronti del datore di lavoro per il recupero;
- se sono trascorsi non più di dieci anni dalla prescrizione dei contributi, il datore di lavoro stesso o il lavoratore possono chiedere la costituzione di rendita vitalizia (così si chiama tecnicamente l’operazione di “chiusura del buco”) con onere a carico del datore. Se versa il dipendente, quest’ultimo può chiedere al primo il risarcimento del danno;
- se sono trascorsi oltre dieci anni dalla prescrizione, si chiede la costituzione di rendita vitalizia con onere solo a carico del lavoratore, senza possibilità di rivalsa verso il datore di lavoro inadempiente.
La rendita vitalizia può essere richiesta solo quando il beneficiario della contribuzione non corrisponde con il soggetto tenuto al versamento dei contributi. Si tratta, in pratica, dei lavoratori dipendenti, dei familiari coadiuvanti e coadiutori di imprese artigiane e commercianti, dei collaboratori di coltivatori diretti, degli iscritti alla gestione separata Inps (diversi dai professionisti). Può essere applicata, altresì, agli iscritti alla Cassa per le pensioni degli insegnati di asilo e scuole elementari parificate dipendenti di enti diversi dalle pubbliche amministrazioni. L’onere della costituzione della rendita vitalizia è calcolato con le regole della riserva matematica per periodi di competenza fino al 31 dicembre 1995 mentre, per i periodi successivi, si applicheranno le regole del sistema contributivo, applicando l’aliquota contributiva in vigore alla data di presentazione della domanda di riscatto, alla retribuzione dei dodici mesi meno remoti rispetto alla data della domanda. Quindi può comportare un esborso anche considerevole perché, a differenza del riscatto del periodo di studi universitari, non è prevista una soluzione a costo ridotto e probabilmente l’operazione risulta opportuna se è l’unico modo per accedere a pensione in via anticipata rispetto alla vecchiaia o per incrementare l’importo dell’assegno pensionistico. Sulla base degli orientamenti dell’agenzia delle Entrate, si ritiene che l’onere pagato a titolo di costituzione di rendita vitalizia è deducibile dal reddito del lavoratore (Risposta 482/2020). Tuttavia la domanda deve essere accompagnata da documenti che consentano all’Inps di verificare non solo l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro, ma anche la relativa prestazione lavorativa. Ad esempio, per gli iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti, possono essere validi il libretto di lavoro, le buste paga, la lettera di assunzioni, transazioni e conciliazioni giudiziali e stragiudiziali, estratti dei libri matricola o dei libri presenze, tutti in originale o copia autenticata da pubblico ufficiale, che vengono vagliati dall’Inps. Riguardo alla busta paga, la circolare 78/2019 ha precisato che deve avere requisiti di integrità e riportare indicazioni relative ad assenze retribuite e non, alle settimane e ai giorni lavorati «tali da permettere di verificare che il vuoto assicurativo sia inequivocabilmente imputabile ad omissione contributiva». Anche sulle sentenze Inps effettua verifiche perché mentre «il giudice può accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro controverso mediante i più disparati mezzi di prova» ai fini della costituzione di rendita vitalizia ci si deve basare su «prove documentali di data certa e inequivocabili». Ammessa la testimonianza, tranne che per il lavoro a domicilio, resa in base agli articoli 38 e 47 del Dpr 445/2000, ma con molte limitazioni ed è preferita quella del datore di lavoro e dei colleghi. Tutto ciò perché «l’esistenza del rapporto di lavoro non deve apparire solo verosimile, ma risultare certa». A questo fine non sono utili le dichiarazioni ora per allora.
Fonte: SOLE24ORE