Whistleblowing: divieto di utilizzo per scopi personali

Whistleblowing: divieto di utilizzo per scopi personali

  • 10 Febbraio 2025
  • Pubblicazioni
Il Whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori gerarchici o colleghi. Tali conflitti sono disciplinati da altre normative e procedure. A dichiararlo è la Corte di Cassazione con sentenza 27 gennaio 2025 n. 1880. Nel caso in esame un'Amministrazione aveva avviato un procedimento disciplinare (procedimento n. 3/2016) nei confronti di un proprio dipendente, accusato di aver tenuto comportamenti rientranti nelle ipotesi ex art. 55-quater, comma 1, lett. e), D.Lgs. 165/2001. Ciò in quanto lo stesso aveva presentato alla Procura della Repubblica due esposti recanti uno scenario privo di fondamento, abusando del proprio ufficio, con l'unico intento di ledere l'onorabilità professionale del Direttore Generale (a carico del quale veniva avviato un procedimento penale) e della Dirigenza. Veniva poi attivato nei suoi confronti un ulteriore procedimento disciplinare (procedimento n. 8/2016) per comportamenti integranti il reato di falso materiale ex art. 478 c.p. A seguito di questa contestazione e della sua audizione, veniva disposta la sospensione del procedimento disciplinare n. 3/2016 in attesa della definizione del processo penale a suo carico per i fatti oggetto del procedimento n. 8/2016, distinto dal primo, pur essendo gli addebiti mossi ad esso connessi. Con successivo provvedimento veniva anche sospeso il procedimento disciplinare n. 8/2016 poiché connesso con il procedimento n. 3/2016, mentre nulla veniva disposto sulla sospensione cautelare, poiché era stata già disposta nell'ambito del procedimento disciplinare n. 3/2016. Il procedimento penale avviato, su segnalazione del lavoratore, nei confronti del Direttore Generale si concludeva con l'assoluzione di quest'ultimo poiché “il fatto non costituisce non reato” così come si concludeva con l'assoluzione il procedimento penale attivato nei suoi confronti perché “il fatto non sussiste”. Una volta conclusi i procedimenti penali venivano riaperti, con due distinte note, entrambi i procedimenti disciplinari, con rinnovo della contestazione e nuova convocazione del lavoratore per l'audizione. Ed il procedimento n. 3/2016 si concludeva con la comminazione al lavoratore della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 6 mesi, mentre il procedimento n. 8/2016 si concludeva con l'archiviazione. Il lavoratore decideva di agire giudizialmente e la Corte distrettuale, nel rigettare la sua impugnazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale, dichiarava legittimo il provvedimento di sospensione cautelare adottato rispetto al procedimento disciplinare n. 3/2016 e la sanzione comminata.La Corte escludeva, invece, che nel caso di specie, così come eccepito dal lavoratore, trovasse applicazione la disciplina di cui all'art. 54 bis D.Lgs. 165/2001, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” e medio tempore vigente. Avverso la sentenza di appello ricorreva in cassazione il lavoratore con due motivi a cui resisteva con controricorso l'Amministrazione ed entrambi le parti depositavano memorie. La Corte di Cassazione, innanzitutto, osserva che la sospensione cautelare è stata disposta esclusivamente nell'ambito del procedimento disciplinare n. 3/2016 avviato in relazione alle due denunce penali presentate dal lavoratore e non nell'ambito del procedimento n. 8/2016 che, invece, riguardava i fatti per cui lo stesso era stato sottoposto a processo penale. La Corte di Cassazione precisa anche che le disposizioni contrattuali applicabili al caso di specie sono chiare nel subordinare la possibilità della sospensione facoltativa cautelare alla pendenza a carico del dipendente di un procedimento penale per gli stessi fatti per cui è stato avviato il procedimento disciplinare. Pendenza che costituisce elemento costitutivo del diritto riconosciuto al datore di lavoro e non una mera condizione di efficacia (cfr. Cass. n. 20798/2018). Orbene, ad avviso della Corte di Cassazione, la Corte distrettuale ha commesso un errore nel dichiarare legittimo il provvedimento di sospensione cautelare, adottato nell'ambito del procedimento disciplinare n. 3/2016, benché non vi fosse un procedimento penale al riguardo, in considerazione della gravità dei fatti contestati e della lesione all'immagine dell'Amministrazione. Tale mancanza, sottolinea la Corte di Cassazione, non può neanche essere sanata con il richiamo al procedimento disciplinare n. 8/2016, in quanto non è stato riunito al primo essendo inerente ad una contestazione per fatti diversi. Passando poi all'istituto del whistleblowing così come disciplinato dall'art. 54-bis D.Lgs. 165/2001medio temporis applicabile, esso risponde ad una duplice ratio: da un lato, delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall'altro, favorire l'emersione, dall'interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo così forme più incisive di contrasto alla corruzione. Il segnalante non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata. Tale segnalazione deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante. L'istituto in questione non è, però, utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori gerarchici o colleghi. Detti conflitti, infatti, sono disciplinati da altre normative e procedure. I giudici di merito, continua la Corte di Cassazione, hanno affermato - con accertamento di fatto spiegato con una congrua motivazione - che il lavoratore aveva un interesse personale a presentare le denunce che esclude, quindi, l'applicazione dell'art. 54-bis D.Lgs. 165/2001. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione, dei due motivi presentati dal lavoratore, accoglie il primo e con riferimento ad esso cassa la sentenza impugnata, rinviandola alla Corte d'appello in diversa composizione, nonché dichiara inammissibile il secondo.

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL