Permessi legge 104 e le attività accessorie
- 24 Gennaio 2025
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La legittima fruizione del diritto ai permessi per l’assistenza a un familiare disabile ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, deve essere valutata non solo quantitativamente (tempo dedicato), ma soprattutto qualitativamente (tipo e finalità dell’assistenza). Le attività accessorie, come l’acquisto di medicinali o generi di prima necessità e il supporto alla partecipazione sociale del disabile, sono parte integrante dell’assistenza. Lo ha precisato la Corte di cassazione con ordinanza 17 gennaio 2025, n. 1227. Il caso è quello di un dipendente licenziato per giusta causa in seguito alla contestazione disciplinare di uso distorto dei permessi giornalieri ex lege 104/1992 per assistenza al suocero disabile. Il dipendente impugnava il licenziamento per vari motivi, fra cui l’insussistenza del fatto addebitato. Il Tribunale accoglieva il ricorso del lavoratore. La Corte d’appello, di contro, accoglieva l’impugnazione della sentenza proposta dalla società affermando che, poiché secondo la Cassazione (9217/2016) la mancata assistenza per due terzi o per almeno la metà del tempo dovuto integra una grave violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, ed essendo stato calcolato dal tribunale che il tempo complessivamente dedicato al familiare disabile era stato pari al 42,5/45% (comprensiva del tempo impiegato in attività strumentali comunque finalizzate all’assistenza), che è inferiore alla metà del tempo dovuto, doveva ritenersi spezzato il nesso causale fra i permessi e l’assistenza al familiare disabile. Ora la Corte di legittimità è stata chiamata a decidere sul ricorso proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Corte d’appello. Nell’ordinanza in commento, la Cassazione detta importanti indicazioni in tema di diritto ai permessi per l’assistenza a familiari disabili ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 e dell’eventuale loro abuso. Per la Cassazione la nozione di diritto al permesso per assistenza a familiare disabile implica un profilo non soltanto quantitativo ma soprattutto qualitativo. Sotto il profilo quantitativo occorre tener conto non soltanto delle prestazioni di assistenza diretta alla persona disabile, ma anche di tutte le attività complementari ed accessorie necessarie per rendere l’assistenza fruttuosa ed utile, nel prevalente interesse del disabile avuto (ad esempio acquisto di medicinali, conseguimento delle prescrizioni dal medico di famiglia, acquisto di generi alimentari e di altri prodotti per l’igiene e cura della persona, supporto alla partecipazione sociale). Sotto il profilo qualitativo vanno valutate portata e finalità dell’intervento assistenziale del dipendente in favore del familiare disabile. L’eventuale abuso del diritto, continua la Cassazione, si configura solo in presenza di due elementi, uno soggettivo e l’altro oggettivo. Sul piano soggettivo è necessario un elemento psicologico, di natura intenzionale o dolosa, che deve essere accertato, sia pure mediante presunzioni semplici, dalle quali sia possibile individuare la finalità di pregiudicare interessi altrui. Dal punto di vista oggettivo è necessario l’esercizio del diritto per scopi diversi da quelli previsti dalla legge (assenza di utilità rispetto alla finalità assistenziale). Per la Corte di legittimità, a prescindere da calcoli più o meno esatti, in caso di prossimità del tempo dedicato all’assistenza almeno alla metà di quello totale, specie se a quella quantità di tempo si aggiungono i tempi necessari di percorrenza dalla propria abitazione a quella del disabile, si è in presenza di un legittimo esercizio del diritto di assistenza al familiare disabile e deve essere esclusa la sussistenza di una condotta di “abuso del diritto”, contraria ai principi di buona fede e correttezza. Occorre sempre accertare se la condotta contestata in via disciplinare al lavoratore abbia comunque preservato le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore; a tal fine non sono sufficienti meri dati quantitativi, ma occorre compiere una valutazione complessiva, sia quantitativa, sia qualitativa, della condotta tenuta dal lavoratore, tenendo altresì conto del contesto in cui quella condotta è stata tenuta. Ne consegue che il cosiddetto abuso del diritto potrà configurarsi «soltanto quando l’assistenza al disabile sia mancata del tutto, oppure sia avvenuta per tempi così irrisori oppure con modalità talmente insignificanti, da far ritenere vanificate le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore (id est la salvaguardia degli interessi del disabile), in vista delle quali viene sacrificato il diritto del datore di lavoro ad ottenere l’adempimento della prestazione lavorativa». La Cassazione accoglie quindi il ricorso del lavoratore.
Fonte: SOLE24ORE