Legittimo il licenziamento del lavoratore sorpreso "al bar"
- 20 Gennaio 2025
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La pronuncia che si annota viene resa a definizione di una controversia che vede protagonista un lavoratore che, durante l'orario di lavoro, veniva reiteratamente sorpreso ad intrattenersi in "pause non autorizzate", trascorse all'interno di esercizi commerciali, degustando consumazioni ovvero chiacchierando, per periodi di durata spesso anche superiore a trenta minuti.La condotta tenuta veniva considerata particolarmente grave dal datore di lavoro anche in ragione del ruolo rivestito dal lavoratore: si trattava, infatti, di un addetto al coordinamento dei dipendenti con mansioni di raccolta dei rifiuti. A ciò si sommava la lesione all'immagine della società. Per tale motivo, veniva comminata la sanzione espulsiva del licenziamento. Il licenziamento, pur inizialmente ritenuto non proporzionato rispetto alle mancanze contestate dal Tribunale, veniva invece ritenuto legittimo (e proporzionato) dalla Corte di appello di Catanzaro, la quale evidenziava che la condotta contestata poteva assumere rilievo penale, ed in particolare poteva integrare il reato di truffa, dal momento che il lavoratore aveva compilato attestazioni della propria presenza non veritiere, avendo confermato l'integrale osservanza dell'orario di lavoro, ed avendo percepito la relativa retribuzione. Quest'ultima valutazione viene utilizzata dalla Corte di cassazione nel giudicare - e rigettare - il motivo di ricorso relativo alla legittimità del controllo effettuato sul lavoratore mediante agenzia investigativa. La Corte ribadisce, infatti, che, come risulta da un proprio orientamento consolidato, il controllo mediante agenzia investigativa può essere disposto purché abbia ad oggetto elementi diversi dall'adempimento della prestazione lavorativa che, viceversa, deve ritenersi sottratta ad un controllo di questo tipo, e purché si sia in presenza di un sospetto o della mera ipotesi di illeciti, appunto non riconducibili all'inadempimento contrattuale, in corso di esecuzione. Ciò è tanto più vero nel caso, qual è quello oggetto del giudizio, in cui il lavoratore svolga la propria prestazione al di fuori dei locali aziendali, accentuando l'interesse a verificare che non vi siano lesioni dell'immagine dell'azienda. La Corte afferma che la nozione di patrimonio aziendale, la cui tutela giustifica l'esecuzione di controlli di questo tipo, deve intendersi nella più estesa accezione, comprensiva anche della tutela dell'immagine della società datrice di lavoro.Accertata la legittimità del controllo effettuato mediante agenzia investigativa la Corte di cassazione prende atto del giudizio di proporzionalità tra sanzione e condotta tenuta, effettuato dal giudice di merito, e rigetta il ricorso.
Fonte: SOLE24ORE