Smart working per il dipendente disabile anche senza accordo
- 16 Gennaio 2025
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Se non ostano oneri finanziari sproporzionati, il datore di lavoro è tenuto ad accogliere la domanda del lavoratore con disabilità di rendere la prestazione in smart working, anche se l’accordo aziendale esclude il lavoro agile in relazione alle mansioni cui il lavoratore è addetto. Lo smart working è uno strumento che il datore deve considerare allo scopo di soddisfare gli «accomodamenti ragionevoli» che la normativa antidiscriminatoria prescrive ai datori per tutelare i lavoratori disabili e garantire che essi possano svolgere la prestazione professionale in condizioni di parità rispetto agli altri lavoratori in azienda. Sulla scorta di questi principi, la Cassazione (sentenza 605/2025) ha confermato l’ordine al datore di lavoro di consentire al dipendente invalido civile per gravi deficit visivi di rendere la prestazione da remoto in “modalità agile”. La Cassazione rimarca che non osta a questa conclusione che la disciplina presupponga un accordo individuale tra le parti per ritenere validamente costituito lo smart working. In mancanza di un’intesa, a fronte della indisponibilità datoriale ad accogliere l’istanza del dipendente disabile a poter proseguire il rapporto di lavoro in modalità agile, prestando l’attività da remoto presso il proprio domicilio, è il giudice a individuare «la soluzione del caso concreto». Gli accomodamenti ragionevoli sono un dato acquisito nel panorama normativo nazionale (articolo 3, comma 3-bis, del Dlgs 216/2003) e sovranazionale (tra cui, direttiva 2000/78/Ce e convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità) allo scopo di rimuovere le limitazioni che ostacolano l’applicazione del principio di parità di trattamento dei disabili nell’accesso al lavoro e nella partecipazione alla vita sociale. Lo smart working, in questo contesto, può essere una soluzione ragionevole per consentire al disabile lo svolgimento della prestazione in condizioni di parità rispetto ai colleghi, considerando che l’impatto sul piano finanziario è modesto e si traduce essenzialmente nella fornitura di strumenti digitali e in una preliminare attività formativa. La Cassazione rimarca il carattere vincolante degli accomodamenti ragionevoli nella gestione dei lavoratori disabili, il cui rifiuto, salvo che essi non si traducano in oneri finanziari sproporzionati, integra gli estremi della discriminazione vietata. Applicando questa regola, la Cassazione osserva che, essendo stato utilizzato lo smart working dal datore nel periodo pandemico, evidentemente non sussisteva una condizione sul piano organizzativo aziendale che impedisse di continuare ad utilizzare questa modalità agile per il lavoratore disabile con invalidità civile. Lo smart working è, in definitiva, un mezzo funzionale all’applicazione degli «accomodamenti ragionevoli» in materia antidiscriminatoria anche rispetto alle mansioni per cui l’accordo aziendale esclude la modalità di lavoro agile, se gli oneri finanziari sottesi sono tollerabili e la mansione non è per sua natura incompatibile con l’attività da remoto. La sentenza è un precedente destinato a fare giurisprudenza, perché finisce per allargare in modo rilevante l’applicazione dello smart working ai lavoratori disabili, considerando che la norma nazionale prevede, invece, unicamente un diritto di precedenza dei lavoratori con disabilità grave nell’accesso al lavoro agile.
Fonte: SOLE24ORE