Il successo del lavoro agile dipende dal funzionamento di alcune regole - l’assenza di rigidi orari di lavoro, da un lato, e il collegamento tra prestazione lavorativa e obiettivi, dall’altro – finora troppo sottovalutate nella loro applicazione concreta. Applicazione che deve fare i conti con un ordinamento del lavoro che segue regole diverse, a volte opposte, a quelle che dovrebbero essere applicate per una buona riuscita di questa innovativa modalità di lavoro. Una prima importante difficoltà riguarda l’orario di lavoro. La Legge 81/2017 ricorda che il lavoratore agile svolge la sua prestazione «senza precisi vincoli» di orario (articolo 18). Tuttavia, bisogna chiedersi come si combina lo smart working con quella giurisprudenza comunitaria (nata nel 2019 con la sentenza in causa C – 55/18 e ribadita con la recente sentenza sull’orario nel lavoro domestico) che ritiene imprescindibile l’adozione di sistemi di misurazione dell’orario di lavoro che siano «obiettivi, affidabili e accessibili». Secondo la Corte di giustizia europea, in assenza di un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, non c’è modo di stabilire con oggettività e affidabilità né il numero di ore di lavoro svolte e la loro ripartizione nel tempo, né il numero delle ore di lavoro straordinario, il che rende eccessivamente difficile per i lavoratori, se non impossibile, far rispettare i loro diritti. Per la Corte, dunque, una normativa nazionale che non prevede l’obbligo di ricorrere a uno strumento che consente tale determinazione non è idonea a garantire l’effetto utile dei diritti conferiti dalla Carta e dalla direttiva sull’orario di lavoro, poiché essa priva sia i datori di lavoro, sia i lavoratori della possibilità di verificare se tali diritti sono rispettati. Una visione che fatica a conciliarsi con quella secondo cui la prestazione del lavoratore agile non deve essere misurata in modo preciso: come si concilia la libertà di orario tipica del lavoro agile con l’eventuale misurazione – magari fatta con una app o altri strumenti digitali – del tempo di inizio e fine delle prestazioni, delle pause e degli straordinari? Una strada possibile per far convivere strumenti e regole così diversi è quella di far rientrare il lavoro agile in quelle modalità di lavoro nelle quali il lavoratore ha libertà di auto-determinare l’orario: se questa condizione viene rispettata, si ricade nell’ambito dell’articolo 17, paragrafo 1, della Direttiva 2003/88 sull’orario di lavoro, che consente di disapplicare l’obbligo di misurazione dell’orario. Secondo la giurisprudenza della Corte Ue, questa deroga si applica solo nei casi in cui il lavoratore ha facoltà di decidere non solo la collocazione orario ma anche il numero di ore di lavoro (sentenza in causa C-175-16). Un risultato non scontato, cui si può arrivare solo costruendo degli accordi individuali e collettivi di smart working che non si limitano a lasciare libertà sulla collocazione dell’orario, ma rimettono al lavoratore anche scelta sulla quantità di ore da svolgere, ancorando la prestazione al raggiungimento degli obiettivi. Un passaggio importante ma, anche qui, reso ostico da alcuni vincoli posti dall’ordinamento, come quella giurisprudenza che considera inapplicabile al lavoro subordinato la valutazione dei risultati della prestazione . La celebre sentenza 10640/2024 della Corte di cassazione ha, infatti, messo in chiaro che l’obbligazione del lavoratore dipendente non è soggetta alla valutazione del risultato, trattandosi di una «obbligazione di mezzi». Una lettura che può, almeno in parte, essere attenuata fissando in maniera chiara ed esplicita, negli accordi individuali di lavoro agile, gli obiettivi che devono essere raggiunti. Le parti, in altri termini, dovrebbero includere gli obiettivi all’interno degli impegni contrattuali che vincolano il dipendente, enfatizzando quel timido riferimento agli obiettivi che è già presente nell’articolo 18 della Legge 81/2017. Un riferimento che oggi è stato molto sottovalutato dalla contrattazione collettiva e dagli accordi individuali, sempre troppo restie a evidenziare l’importanza degli obiettivi nella valutazione della prestazione. Le continue invocazioni sulle potenzialità dello smart working hanno bisogno, quindi, di un sostegno nuovo e più coraggioso da parte di tutti gli attori del sistema – la contrattazione collettiva, le parti che stipulano le intese - i quali finora si sono concentrati troppo sulle procedure e sulla collocazione temporale del lavoro agile, mentre hanno curato troppo poco quegli aspetti che sono, invece, essenziali per garantire un futuro di successo dell’istituto.
Fonte: SOLE24ORE