Lavoro intellettuale fuori dal perimetro del caporalato
- 19 Dicembre 2024
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Non si può configurare il reato di sfruttamento sul lavoro (disciplinato dall’articolo 603 bis del Codice penale) se l’attività lavorativa ha natura intellettuale. Con questa interpretazione la Corte di cassazione (sentenza 43662 del 28 novembre 2024) fissa una linea di demarcazione importante su una fattispecie di reato che in questi anni ha inciso non poco sulle dinamiche del mercato del lavoro. La vicenda trae origine da una decisione del Tribunale di Palermo che, in sede di riesame, aveva confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Termini Imerese con cui era stata applicata nei confronti di un’indagata la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (articolo 603 bis del Codice penale). Questa persona, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società cooperativa esercente attività di istruzione secondaria, era accusata di aver sottoposto alcuni docenti a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, e di averli costretti a restituire la retribuzione ricevuta ovvero a lavorare sottopagati. La Cassazione riforma questa decisione, perché «il fatto non sussiste», in quanto esclude che possa sussistere nella fattispecie il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro previsto dall’articolo 603 bis del Codice penale. Secondo la sentenza, tale fattispecie di reato, nata per contrastare il sempre più allarmante fenomeno del caporalato agricolo, non può essere estesa per punire fattispecie originariamente non ipotizzate dal legislatore. In particolare, la Corte ritiene che la norma si riferisca al reclutamento o all’utilizzazione di «manodopera», termine semanticamente legato alla manualità e generalmente alla prestazione di lavoro privo di qualificazione (tanto che, ove le qualità manuali e realizzative aumentino, si parla di «manodopera specializzata»). Questa definizione, si legge nella sentenza, non include il lavoro intellettuale, tanto se esercitato in forma subordinata che nella libera professione, poiché l’intelletto e il suo uso «costituiscono elemento identitario ed individualizzante che non può essere svilito, disperdendolo nella categoria generica della manodopera». A fronte di questo dato dato testuale, conclude la sentenza, non è possibile estendere l’applicazione della norma a categorie di lavoro che avvalendosi di prestazioni intellettuali esulano in radice dalla categoria dei lavori manuali, siano essi in ambito agricolo o artigianale o industriale. La Cassazione e ritiene, inoltre, mancanti gli elementi costitutivi del reato. Viene criticata la mancanza di precisione nella identificazione dello «stato di bisogno», che non può essere ricondotto solo al «generale contesto di crisi occupazionale»; allo stesso modo, viene messa in discussione la sussistenza dell’elemento dello «sfruttamento delle vittime del reato», non essendo stato verificato se le irregolarità nella firma dei contratti non corrispondessero a una scelta di opportunità dei singoli docenti, attratti dalla prospettiva di acquisire punteggio a fronte di un impegno lavorativo minimale se non simulato. La severa decisione della Corte investe anche la motivazione del provvedimento con cui è stata chiesta la misura cautelare, che – secondo la sentenza - è costituito in larga misura con la tecnica del copia-incolla, seguita da meno di mezza pagina di argomentazioni «stereotipate e prive di riferimenti specifici». È ancora presto per capire se questa decisione sarà l’indirizzo seguito in maniera uniforme dalla Corte di legittimità; se questo dovesse accadere, saremmo di fronte a un importante cambiamento del perimetro di applicazione della norma, che andrebbe a escludere il vasto e variegato mondo delle prestazioni di «natura intellettuale» (con tutte le difficoltà connesse alla ricostruzione di una nozione che, in concreto, è meno chiaro di quanto possa apparire).
Fonte:SOLE24ORE