Dimissioni senza recesso per le assenze ingiustificate

Dimissioni senza recesso per le assenze ingiustificate

  • 18 Dicembre 2024
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Per le dimissioni del dipendente che abbandona il posto di lavoro senza formalizzare le proprie dimissioni il collegato lavoro appena approvato definitivamente al Senato, prevede un’importante novità, che dovrebbe colmare una vistosa lacuna dell’attuale disciplina (contenuta nell’articolo 26 del Dlgs 151/2015). Secondo le regole oggi vigenti, non è possibile considerare dimissionario un lavoratore che non completa la procedura telematica di convalida, neanche se comunica in maniera esplicita la propria decisione di interrompere il rapporto: una regola nata per frenare il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco, che tuttavia produce in alcuni casi degli effetti paradossali. Si pensi all’ipotesi del dipendente che smette di recarsi sul posto di lavoro (perché ha un altro impiego o semplicemente perché non vuole più proseguire quel rapporto), comunica apertamente la propria decisione ma rifiuta di completare la procedura telematica: il datore di lavoro è obbligato a licenziare questo dipendente, non potendolo considerare dimissionario, e deve pagare il cosiddetto ticket Fornero, il contributo obbligatorio che serve a finanziare la Naspi. Conseguenza messa in luce di recente dalla giurisprudenza di merito, che, seppur con oscillazioni, ha escluso la possibilità di applicare la disciplina delle dimissioni «per fatti concludenti» a casi come quello appena descritto. La norma contenuta nel collegato lavoro prevede che se il lavoratore risulta assente ingiustificato per un periodo superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale (in mancanza di previsione collettiva, si applica un termine di 15 giorni) il datore di lavoro può considerare dimissionario il dipendente, ma solo dopo aver esperito un’apposita procedura. In particolare, il datore di lavoro deve dare comunicazione dell’assenza alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità di questa informazione. A seguito della comunicazione, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina delle dimissioni telematiche. Una norma di assoluto buon senso, che non contiene – come raccontato in maniera molto imprecisa da più parti – alcun indebolimento delle regole volte al contrasto delle dimissioni in bianco ma, come già detto, serve solo a semplificare il percorso di gestione di un lavoratore che, volontariamente, ha scelto di non lavorare più in un certo posto. Una regola che serve anche a prevenire comportamenti opportunistici, come quello del dipendente che “provoca” il proprio licenziamento per accedere alla Naspi (che non spetterebbe in caso di dimissioni). La legge si preoccupa anche di tutelare la genuinità della scelta del dipendente, precisando che il rapporto non si intende risolto «se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza». Il testo della norma è, forse, troppo sbrigativo nella spiegazione di come si dovrebbe svolgere la fase di accertamento dell’Ispettorato territoriale (è un passaggio obbligatorio o meramente eventuale? Come si svolge?) e delle modalità con cui il lavoratore può far valere i motivi della propria assenza: c’è da sperare che la normativa secondaria fornisca indicazioni chiare. In mancanza, la procedura potrebbe diventare fonte di contenzioso, complicando quello che oggi si vuole semplificare. Ad ogni modo, il potere di verifica dell’Itl consente di sgombrare il campo dal timore che le assenze qualificabili come legittime (ad esempio, mancato pagamento della retribuzione, disapplicazione delle norme di sicurezza, impedimenti oggettivi) faccia scattare la procedura di dimissioni semplificate, danneggiando impropriamente il lavoratore.

Fonte: SOLE24ORE