Licenziamenti, reintegra con la violazione del repêchage

Licenziamenti, reintegra con la violazione del repêchage

  • 16 Dicembre 2024
  • Pubblicazioni
È illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore se il datore non ha provato di aver esperito i tentativi di repêchage. È il principio espresso, da ultimo, dal Tribunale di Napoli con sentenza depositata il 23 luglio 2024, che ha accolto il ricorso del lavoratore. Il ricorrente era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, cioè per ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento. Secondo la società, queste ragioni erano dettate dalla crisi economica che l’aveva colpita. Inoltre, vi sarebbe stata impossibilità di collocare il lavoratore in altre mansioni a causa del suo frequente stato di malattia e per motivi anche legati a esigenze di riorganizzazione aziendale. La società aveva eccepito che a causa del frequente stato di morbilità e della limitazione parziale a svolgere la mansione originariamente affidata, era stata costretta a modificare il ciclo di produzione. Il datore di lavoro però si è limitato a eccepire genericamente la riorganizzazione aziendale e del personale, ma senza specificarne le modalità, non ha allegato un organigramma da cui evincere una modifica dell’assetto aziendale o documenti dai quali dedurre una crisi economica. Il giudice, pertanto, ha ritenuto poco credibile che una società con un numero di dipendenti ben superiore a 15 sia stata costretta a modificare il ciclo di produzione in conseguenza della necessità di usare in maniera limitata un solo lavoratore. Inoltre, la resistente non aveva allegato l’impossibilità di ricollocare il ricorrente in altre mansioni, indicando quelle sussistenti in azienda e motivando sull’impossibilità per il lavoratore di svolgerne una, anche in base al suo profilo professionale. Pertanto, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo. In effetti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo se il riassetto organizzativo è effettivo e non pretestuoso, fondato su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso e non riguardante circostanze future ed eventuali. Deve inoltre sussistere un nesso causale tra il riassetto aziendale e il licenziamento del lavoratore, e deve essere infine verificata l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni. L’onere della prova della mancata possibilità di repêchage deve essere assolto dal datore di lavoro. Il lavoratore è dispensato dall’onere di indicare eventuali posizioni disponibili in cui avrebbe potuto essere utilmente collocato. Fra le ipotesi più frequenti in cui è stata riconosciuta la sussistenza del giustificato motivo oggettivo rientra sicuramente la cessazione dell’attività produttiva. Anche la soppressione del posto o del reparto al quale è addetto il lavoratore possono costituire un valido motivo, sebbene non siano soppresse tutte le mansioni svolte dal lavoratore licenziato, che possono anche soltanto essere diversamente distribuite al personale già in forza. Altrettanto valido è il recesso se l’imprenditore persegue un’effettiva scelta di riorganizzazione, oppure esternalizza in tutto o in parte le mansioni svolte dal lavoratore. L’introduzione di nuove tecnologie che necessitano di un minor numero di addetti o di addetti con professionalità specifica può pure costituire valido motivo di recesso. Viceversa, un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale non è un legittimo motivo di licenziamento e neppure la cessazione di un appalto, se manca un collegamento fra la cessazione e l’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato. Infine, perché sussista un giustificato motivo oggettivo del recesso non è necessario dimostrare l’andamento economico negativo dell’azienda. Secondo parte della giurisprudenza è legittimo il licenziamento finalizzato anche solo al raggiungimento di un maggior profitto per l’impresa. Tra le ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro che possono determinare la soppressione di una determinata posizione lavorativa sono comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale e a un incremento della redditività dell’impresa. Sotto il profilo del controllo giudiziale, il giudice è chiamato ad accertare esclusivamente la sussistenza dei presupposti di legittimità del licenziamento, mentre non può entrare nel merito delle valutazioni tecniche, organizzative e produttive. Pertanto, la scelta non è sindacabile sotto il profilo dell’opportunità, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato.

Fonte: SOLE24ORE