Naspi e dipendente licenziato per assenza ingiustificata
- 28 Novembre 2024
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È noto che l’accesso all’indennità di disoccupazione Naspi presuppone che il rapporto di lavoro sia cessato su iniziativa del datore di lavoro. In assenza di giusta causa, il lavoratore che recede dal rapporto tramite le dimissioni non ha diritto all’indennità. Per effetto di questa situazione, non è infrequente che, allo scopo di poter accedere alla Naspi, il lavoratore si assenti dal lavoro senza preavviso né giustificazione per indurre il datore a licenziarlo per giusta causa. Ricorrendo questo scenario il datore è tenuto a versare il contributo introdotto dalla Legge Fornero (articolo 2, comma 31, della legge 92/2012) per tutti i casi di interruzione del rapporto da cui consegue l’accesso del lavoratore alla Naspi (cosiddetto ticket di licenziamento). La giurisprudenza di merito ha ritenuto, come emerge da alcuni precedenti, che il datore di lavoro sia legittimato, in tal caso, a chiedere al lavoratore l’importo del ticket di licenziamento. A presidio di questa conclusione è stato osservato che la reiterata assenza del dipendente, laddove essa risulti preordinata a spingere il datore a irrogare il licenziamento disciplinare per avere accesso alla Naspi, costituisce un comportamento contrario ai canoni di correttezza e buona fede che governano il rapporto di lavoro. In altri termini, secondo questa interpretazione, il ticket di licenziamento è un costo che il datore subisce perché il lavoratore, invece di rassegnare le dimissioni, lo ha deliberatamente indotto ad adottare il licenziamento. Seguendo questo schema, il datore ha diritto di essere risarcito per l’importo del ticket. Questi approdi parrebbero rimessi in discussione da una pronuncia del Tribunale di Cremona (sentenza 333/2024 del 15 ottobre), che ha respinto la domanda del datore di condanna del lavoratore (licenziato dopo ininterrotta assenza ingiustificata) alla refusione del costo del ticket di licenziamento e al versamento dell’indennità sostitutiva di mancato preavviso. Per la società, il comportamento del dipendente produceva, in sostanza, gli stessi effetti delle dimissioni con effetto immediato, da cui la richiesta risarcitoria non solo del contributo Naspi, ma anche dell’indennità economica sostitutiva del preavviso. Il giudice di Cremona rigetta la lettura della società, osservando che il ticket di licenziamento è dovuto ex lege «per il sol fatto che il rapporto di lavoro sia cessato per recesso del datore di lavoro». Per tale ragione il contributo Naspi non può essere ribaltato sul lavoratore per effetto del comportamento inadempiente. In sentenza non viene dato spazio alla tesi della condotta contraria ai principi di correttezza e buona fede e si sposta, invece, sul datore l’onere di dimostrare che, nei fatti, il comportamento del dipendente era espressione della volontà, espressa o tacita, di rassegnare le dimissioni. Solo in tal caso il datore si sottrae al pagamento del ticket. Il giudice di Cremona si ancora al dato formale del recesso intimato dal datore e, per le stesse ragioni, respinge la domanda sull’indennità di mancato preavviso. Gli oscillanti interventi della giurisprudenza non aiutano a trovare un punto di equilibrio e il preannunciato intervento nel disegno di legge lavoro non pare risolvere definitivamente il problema. La necessità, infatti, per il datore di comunicare anticipatamente all’Ispettorato territoriale del lavoro l’ingiustificata assenza del dipendente oltre il termine massimo fissato dal Ccnl e le verifiche successive dell’Itl hanno l’effetto di generare ulteriore incertezza, affidando per di più al lavoratore uno spazio di contestazione.
Fonte: SOLE24ORE