Mobbing e responsabilità: va dimostrato l’intento persecutorio

Mobbing e responsabilità: va dimostrato l’intento persecutorio

  • 28 Novembre 2024
  • Pubblicazioni
Il mobbing, in linea generale, rientra tra le violazioni dell’articolo 2087 del codice civile, il quale pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’inadempimento di tale norma determina l’insorgere di un’ipotesi di responsabilità contrattuale. Tuttavia, come precisa la Corte di cassazione (sezione lavoro, 14 novembre 2024, n. 29400), rispetto alle altre violazioni dell’articolo 2087, il mobbing si caratterizza per la presenza di una pluralità di condotte che, di per sé considerate, possono anche essere legittime e formalmente corrette, ma che sono legate da un comune intento persecutorio che determina la loro complessiva illegittimità e la responsabilità contrattuale di chi le pone in essere. Chiaramente, osservano i giudici, le singole condotte che integrano la fattispecie di mobbing possono essere legittime ma possono anche essere illegittime. In quest’ultimo caso, però, assumono singolarmente rilievo ai fini della violazione della norma codicistica, a prescindere dalla presenza o meno di una volontà vessatoria e quindi dalla configurabilità o meno del mobbing. Per quanto riguarda l’adempimento dell’onere della prova, la Cassazione ha rilevato che, se generalmente per dimostrare una violazione dell’articolo 2087 del codice civile, posta la natura contrattuale della responsabilità che ne consegue, il lavoratore deve provare il fatto che costituisce l’inadempimento e il nesso di causalità tra tale inadempimento e il danno subito, in caso di mobbing la questione è più complessa. Come detto, il mobbing si connota per la sussistenza di elementi caratterizzanti che rendono contestabili delle azioni o omissioni che, autonomamente considerate, potrebbero non essere contestabili. Di conseguenza, il lavoratore, nel denunciare il mobbing, non può limitarsi ad allegare l’inadempimento del datore di lavoro e provare il danno e il nesso causale, ma deve dimostrare anche e soprattutto la sussistenza dell’intento persecutorio. Devono in sostanza essere dimostrati specifici fattori di rischio che, pur in presenza di singoli comportamenti datoriali legittimi, di fatto determinano la nocività dell’ambiente di lavoro.

Fonte: SOLE24ORE