Inquadramento Inps e Inail: la Cassazione interviene

Inquadramento Inps e Inail: la Cassazione interviene

  • 25 Novembre 2024
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L’inquadramento è il provvedimento con il quale l’Inps effettua la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali e assistenziali, in uno dei settori previsti ai sensi dell’articolo 49 della legge 88/1989, in relazione all’attività esercitata.  L’inquadramento prevede l’attribuzione, in capo al datore di lavoro, di una posizione contributiva individuata da una serie di numeri e codici che indirizzano la classificazione in uno specifico settore con le corrispondenti caratteristiche contributive (per riferimenti sull’ultimo manuale Inps di classificazione cfr. messaggio 2185/2021 e 15607/2022). Posto che l’articolo 49 della legge 88/1989 ha introdotto nell’ordinamento un nuovo sistema classificatorio delle aziende a fini contributivi e previdenziali, affidando dunque la relativa procedura all’Inps, uno dei temi ricorrenti nella giurisprudenza è quello della validità dell’inquadramento e delle sue variazioni operate dall’Inps nei confronti degli altri enti, combinato con la questione (a dire la verità ormai superata) della permanenza dei vecchi inquadramenti. In base al terzo comma dell’articolo 49 citato, ultimo periodo, restano infatti comunque validi gli inquadramenti già in atto nei settori dell’industria, del commercio e dell’agricoltura o derivanti da leggi speciali o conseguenti a decreti emanati ai sensi dell’articolo 34 del Dpr 797/1955. Tale indicazione pare contraddire l’apertura del primo comma dell’articolo 49, laddove si specifica che «La classificazione dei datori di lavoro disposta dall’Istituto ha effetto a tutti i fini previdenziali ed assistenziali», con ciò facendo intendere l’implicita abrogazione dei criteri previsti da normative precedenti. A livello interpretativo, in origine si fronteggiavano dunque la tesi della permanenza in capo all’Inpsdi un potere generale di classificazione, a tutti i fini previdenziali e per tutti gli enti di previdenza, e la tesi della sopravvivenza di un potere di inquadramento affidato anche ad altri istituti ed enti, interpretando il I comma dell’articolo 49 come rivolto alle gestioni di pertinenza dell’Inps. La Cassazione, chiamata a risolvere la questione, aveva individuato la ratio della normativa nella necessità di adottare un criterio tendenzialmente unificatore e soprattutto maggiormente accessibile per le imprese, chiamate spesso a districarsi tra vari richiami normativi. Per questo motivo, alla norma di salvezza di cui al terzo comma viene attribuita la funzione di salvaguardare i pregressi inquadramenti, ma non le disposizioni che prima dell’articolo 49 erano state considerate ai fini della classificazione. Ciò non toglie che il criterio di salvezza così determinato abbia valore generale, nel senso di ricomprendere gli inquadramenti spettanti ai datori di lavoro in base all’attività svolta prima della data (indipendentemente dalla fonte normativa di riferimento: Cassazione Sezioni Unite 18.5.1994, n. 4837). A seguito dell’intervento della Corte costituzionale (378/1994), che in sostanza invitava il legislatore a porre fine all’efficacia dei vecchi inquadramenti al fine di evitare il consolidamento di situazioni di evidente disparità, in presenza di identiche attività imprenditoriali svolte, l’articolo 2, comma 215, della legge 662/1996 ha individuato la data del 1° gennaio 1997 come data ultima di efficacia della disciplina transitoria e a partire dalla quale dovevano essere adottati i criteri previsti dall’articolo 49 anche per quei datori di lavoro che erano inquadrati con i precedenti criteri di classificazione. L’Inps, dunque, posto che la classificazione stabilita dall’ente fa stato nei confronti di ogni altro ente e per ogni fine contributivo e previdenziale, adotta i criteri di classificazione indicati dalla norma al fine di individuare un inquadramento unico aziendale, escludendo la possibilità di scindere dall’inquadramento previdenziale la concessione di particolari agevolazioni ai datori di lavoro (sgravi, fiscalizzazioni, eccettera) ovvero l’applicazione di specifici regimi contributivi per i dipendenti (ad esempio, iscrizione all’Inpdai dei dirigenti di aziende del commercio (cfr. Cass. 16246/2014, 4668/2004, 29771/2022).  La pronuncia che si annota (28531 del 6 novembre 2024) si pone il problema della legittimità della rettifica d’ufficio operata dall’Inail sulla base di un diverso inquadramento operato dall’Inps. L’azienda che aveva subito la rettifica contestava l’inquadramento operato dall’Inps e la sua applicabilità automatica all’Inail. La Cassazione ha risolto la questione affidandosi all’orientamento prevalente, il quale prevede che a decorrere dall’entrata in vigore della legge 88/1989 la classificazione dei datori di lavoro operata dall’Inps sulla scorta dei criteri dettati dall’articolo 49 della stessa legge ha effetto a tutti i fini previdenziali ed assistenziali e, quindi, anche ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La Cassazione, in tema, ha recentemente precisato che gli effetti dei provvedimenti di variazione disposti d’ufficio trovano applicazione, salvo che il datore di lavoro abbia dato causa all’errata classificazione, dal primo giorno del mese successivo alla comunicazione dell’Inail (ordinanza 12784/2024).

Fonte: SOLE24ORE