La Cassazione penale 24 settembre 2024 n. 35714 conferma la fortissima attenzione dei Giudici al rispetto delle misure di sicurezza a garanzia dei lavoratori: non sono ammessi comportamenti negligenti, perché le norme mirano a salvaguardare l’incolumità dei dipendenti anche dai rischi derivanti dai loro comportamenti disattenti, imprudenti o disobbedienti. l caso che affronta la Cassazione riguarda un incidente in fabbrica di un operaio. Il lavoratore veniva travolto da un carrello elevatore mentre percorreva a piedi una zona del fabbricato destinato allo stoccaggio della merce. Nell'incidente, il dipendente in somministrazione lavoro riportava la frattura di una gamba e restava assente dal servizio per circa due mesi. La Corte di Appello di Brescia riconosceva il datore di lavoro, anche nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antiinfortunistica, condannandolo inoltre al risarcimento del danno. L'azienda sostanzialmente impugna la sentenza per due motivi:
non è vero che non erano presenti strisce a terra delimitanti l'area di transito mezzi, e quindi esistevano appropriati mezzi di sicurezza;
il lavoratore infortunato si è comportato in maniera “abnorme”, lasciando la sua postazione di lavoro per andare a trovare un collega senza rispettare le regole; inoltre, lavorava in azienda da circa cinque anni e quindi conosceva bene la fabbrica.
La Cassazione conferma il giudizio delle corti di merito, rigettando il ricorso e condannando definitivamente l'imputato. I giudici della Corte intanto prendono atto delle risultanze testimoniali dei magistrati del merito: le strisce a terra necessarie a separare le corsie, se un tempo erano presenti, ora risultano non visibili, “praticamente quasi scomparse”, e quindi è come se non ci fossero. Ciò basta a dimostrare la responsabilità del datore di lavoro, tenendo peraltro conto che le immagini prodotte in giudizio dimostrano che nel luogo dove è avvenuto l'incidente non ci sono né cartelli né catenelle in grado di separare la zona destinata al transito pedonale da quella riservata al traffico dei mezzi. Da un punto di vista strettamente giuridico, prosegue la Cassazione, “…il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte del lavoratore, poiché il rispetto della normativa antiinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa …”. La lettura integrata di tutte le norme sulla sicurezza del lavoro – l'art.41 della Costituzione, l'art. 2087 c.c., tutto l'impianto del D.lgs n.81/2008 - portano alla fine ad una serie di principi generali: la centralità della persona rispetto all'impresa, l'individuazione del datore di lavoro come soggetto responsabile, l'importanza imprescindibile della prevenzione e/o gestione del rischio lavorativo, da realizzarsi attraverso le fasi della valutazione, delle misure per annullare e/o attenuare i pericoli, del controllo e dell'aggiornamento delle procedure atte a tale ultimo scopo. Insieme alle classiche obbligazioni del contratto ai sensi dell'art.2094 c.c. (prestazione vs. retribuzione), il datore di lavoro è sicuramente obbligato a un intreccio indissolubile di “fare” e “non fare”, al fine di garantire che lo svolgimento del rapporto non si riveli fonte di pregiudizio per il lavoratore (cfr. Cassazione, n. 34968 del 28 novembre 2022). Ma allora qualsiasi infortunio è sempre colpa del datore di lavoro o dei suoi delegati, “a prescindere” da tutto ? Due recenti sentenze di Cassazione segnano in maniera abbastanza chiara il confine:
- Cassazione penale, sezione IV, 26 maggio 2022, n. 31478 , assolve il datore di lavoro in un caso di infortunio mortale occorso durante l'effettuazione di una manovra di retromarcia da parte di un autocompattatore nell'ambito di una attività di raccolta rifiuti. La Corte rimarca come – a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello che aveva condannato il datore di lavoro – l'evento verificatosi non era riconducibile al novero dei rischi che possono essere previsti dal datore di lavoro, a conferma del fatto che la valutazione dei rischi non deve (e non può) ricomprendere tutto ciò che può accadere in azienda;
- Cassazione penale, sez. IV, 24 maggio 2022, n. 34944 , assolve il datore di lavoro in un caso di infortunio mortale occorso durante la consegna di cibo (ordinato a distanza) ad un lavoratore su un ciclomotore, che perdeva la vita urtando a terra con la testa. La Corte sottolinea come – anche qui riformando la sentenza dei giudici di appello che avevano condannato l'azienda – l'evento non sia addebitabile al datore di lavoro, che aveva proceduto alla relativa valutazione dei rischi professionali fornendo al dipendente un casco omologato, per quanto di tipo “jet”. La circostanza che sul mercato ci siano caschi più “protettivi” è stata ritenuta dai giudici non tale da determinare una condanna del datore di lavoro per violazione dell'art. 2087 c.c., che non è stato inteso quindi come tale da imporre un obbligo “indeterminato” quanto alla sua estensione a carico dell'azienda.
In entrambi i casi, il discrimine è che il datore di lavoro aveva valutato i rischi ed adottato le relative misure di protezione, che aveva con diligenza garantito ai propri lavoratori.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL