Lavoratrice vittima di violenza sul luogo di lavoro

Lavoratrice vittima di violenza sul luogo di lavoro

  • 21 Novembre 2024
  • Pubblicazioni
La Cassazione (27723 del 25 ottobre 2024) affronta la delicata questione di una lavoratrice vittima di molestie sessuali e stupro sul luogo di lavoro. La Corte di Appello, nel condannare il datore al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima, aveva argomentato che «gli elementi sintomatici dell’entità della sofferenza interiore patita (cd. danno morale soggettivo) vanno senz’altro individuati nella giovane età della donna (30 anni) e ”vergine” al momento dei fatti e della cultura profondamente religiosa della stessa (cattolica praticante) e dei suoi familiari, circostanze che hanno sicuramente amplificato la sua sofferenza interiore conseguente alla grave violenza subita sul posto di lavoro, consistita nell’essere stata vittima dapprima di molestie sessuali perpetrate da due superiori gerarchici e subito dopo dallo stupro commesso da uno dei due». La stessa corte aveva ritenuto che tali elementi giustificassero un incremento a titolo di “personalizzazione” del danno morale soggettivo che andava ad aggiungersi, nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, a quanto già liquidato a titolo di danno biologico. La Cassazione viene ora chiamata a decidere sull’impugnazione della sentenza di merito da parte della lavoratrice con riferimento alla quantificazione del danno; il cd. danno morale soggettivo sarebbe stato determinato «con una motivazione meramente apparente e obiettivamente incomprensibile, risultando omesso qualsiasi riferimento al tipo di tabella utilizzata, al quomodo e al quantum dell’asserita personalizzazione, così risultando oscuro il percorso logico seguito». La Cassazione, con la sentenza in commento, richiamando la costante giurisprudenza, ribadisce il diritto alla risarcibilità del danno morale quale voce autonoma del danno non patrimoniale, distinta dal danno biologico; più precisamente, viene chiarito, si tratta di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei danni morali rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Quanto al ricorso proposto dalla lavoratrice, la sentenza in commento ricorda che l’accertamento in concreto della sussistenza di un tale tipo di danno e la determinazione del suo ammontare in via equitativa compete al giudice del merito e può essere sindacata in Cassazione entro limiti ristretti e che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi solo laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice”. Ma ad avviso dei Supremi giudici nel caso in esame è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per determinare l’ammontare del danno morale soggettivo in via equitativa, facendo riferimento sia alla percentuale di danno biologico subito dalla danneggiata, sia ad elementi sintomatici “dell’entità della sofferenza interiore patita”, quali la giovane età della vittima e le sue condizioni personali e familiari. La Cassazione aggiunge che la non patrimonialità del diritto leso, per non avere il bene persona un prezzo, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa. Pertanto, conclude la sentenza, «la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità solo se la motivazione difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto».

Fonte: SOLE24ORE