Lavoratore assente per malattia del figlio con certificati falsi
- 29 Ottobre 2024
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La presentazione di certificazioni mediche false per giustificare le giornate di assenza dal lavoro riconducibili a malattia del figlio non sorregge la giusta causa di licenziamento se il datore di lavoro non prova che il lavoratore era consapevole della non autenticità dei certificati. L’onere di verificare la genuinità dei certificati medici non è responsabilità del lavoratore, il quale si limita a trasmetterli al datore di lavoro, mentre è quest’ultimo che, laddove ne abbia accertato la falsità, a dover dimostrare che anche il dipendente ne era a conoscenza. Né si può affermare che l’utilizzo dei certificati medici fasulli presentati al datore ingeneri, di per sé, una presunzione di consapevolezza a carico del lavoratore. In tal senso, non è evidentemente rilevante che fosse proprio il lavoratore, in qualità di genitore, a conoscere le reali condizioni di salute del figlio per poterle raffrontare con la documentazione medica. La Cassazione (ordinanza 220891/2024 del 26 luglio scorso) ha confermato gli esiti raggiunti nel doppio grado di giudizio di merito, ritenendo che la presentazione di giustificativi medici fasulli, in assenza di prova datoriale sulla consapevolezza del lavoratore circa la non genuinità dei certificati, eliminasse i presupposti della giusta causa di licenziamento e ricomprendesse gli addebiti nella nozione di comportamento «privo del carattere di illiceità». La vicenda trae origine dal licenziamento di un lavoratore, il quale, allo scopo di giustificare ripetute assenze per malattia del figlio, aveva presentato certificazioni mediche false. In un caso, due certificati medici erano risultati addirittura «perfettamente sovrapponibili», in quanto presentavano la stessa riproduzione. Confermando l’esito del giudizio di primo grado, la Corte d’appello di Roma aveva ritenuto non provata la conoscenza della non autenticità dei certificati medici da parte del lavoratore e aveva, inoltre, affermato che la loro utilizzazione da parte del dipendente non poteva costituire un elemento presuntivo di consapevolezza. La Cassazione conferma questa lettura e rigetta la tesi datoriale secondo cui competeva al lavoratore, che li aveva utilizzati per giustificare l’assenza da lavoro, l’onere di accertare la genuinità dei certificati medici del figlio. Ad avviso della Corte di legittimità, anche in questo caso l’onere della prova ricade per intero sul datore in virtù della regola generale (articolo 5 della legge 604/1966) per cui spetta al medesimo datore di lavoro provare la giusta causa del licenziamento. Su queste basi è stata confermata l’illegittimità del recesso datoriale, con ordine di reintegrazione in servizio del lavoratore e pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni mensili non lavorate. La decisione desta quale perplessità e si presta ad osservazioni di segno critico, a partire dal rilievo che il datore non ha alcun controllo sulla produzione dei certificati medici. Non si vede come possa il datore dimostrare l’elemento soggettivo a carico del lavoratore rispetto alla provenienza di certificati medici di malattia la cui conoscenza è nella esclusiva disponibilità del medesimo lavoratore. Del resto, se il datore si è accorto della falsità dei certificati non si comprende per quale ragione debba escludersi che la stessa conoscenza fosse stata raggiunta dal lavoratore. Lo stato di malattia agisce, infine, nella sfera del lavoratore, ragion per cui è prima di tutto il lavoratore a poter verificare se la certificazione medica è veritiera. La Cassazione, escludendo che la consapevolezza del dipendente rispetto ai certificati fasulli fosse raggiunta almeno in via di presunzione, non ha dato peso a questo dato di comune esperienza.
Fonte: SOLE24ORE