Tempo determinato, l’entità del risarcimento torna al giudice

Tempo determinato, l’entità del risarcimento torna al giudice

  • 12 Settembre 2024
  • Pubblicazioni
Ritorno al passato: in linea con la costante demolizione, ad opera della giurisprudenza e del legislatore, di molte delle riforme sul lavoro approvate nell’ultimo decennio, il decreto legge sulle procedure di infrazione Ue approvato dal Governo il 4 settembre riesuma, in materia di contratto a termine, regole e criteri che sembravano ormai appartenere al passato. La questione nasce dalla procedura di infrazione avviata dalla Ue rispetto all’articolo 28, commi 2 e 3, del Dlgs 81/2015 (uno dei decreti attuativi del Jobs Act). Tale normativa fissa un principio molto equilibrato: se un lavoratore chiede e ottiene la conversione di un rapporto a termine in un contratto a tempo indeterminato, il risarcimento del danno, necessario a coprire i mancati guadagni intervenuti tra la fine del rapporto dichiarato nullo e la sentenza che ricostituisce il rapporto, ammonta a un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento.  Un tetto reso necessario per non accollare solo sul datore di lavoro il “costo” delle possibili lungaggini del processo: poteva accade, infatti, di pagare importi salatissimi in quanto il contenzioso era durato molti anni. Una normativa che ha superato i rilievi di costituzionalità promossi da alcuni uffici giudiziari: la Consulta, infatti, ha avuto modo di chiarire che il risarcimento forfettario è una misura ragionevole e costituzionalmente compatibile (n. 303/2011). Una conferma che non è stata sufficiente a mettere al riparo la norma di rilievi della Ue, che ha avviato una procedura di infrazione in quanto questa normativa non avrebbe carattere “dissuasivo” di eventuali comportamenti illegittimi, e quindi non tutelerebbe adeguatamente il lavoratore. Per fermare questa procedura il decreto legge anti infrazioni Ue modifica la normativa, stabilendo che lavoratore potrà ottenere un risarcimento economico superiore alle 12 mensilità di retribuzione qualora dimostri di aver subito un «maggior danno». In questo modo scardinato il criterio forfettario, si torna a una valutazione del danno rimessa alla discrezionalità del giudice; viene quindi rimossa ogni protezione per le aziende nei casi di allungamento del contenzioso, anche ove questo dipendesse solo da ritardi dell’ufficio giudiziario. Un problema accentuato dal ritorno delle causali,, obbligatorie dopo i primi 12 mesi di durata e che producono da sempre molto contenzioso. Una vicenda che dimostra la difficoltà del nostro ordinamento di capire che il lavoro a termine è un baluardo contro il ricorso a strumenti contrattuali illeciti o irregolari, una forma di flessibilità regolare che garantisce pienezza di diritti e di tutele: un contratto del genere dovrebbe essere accompagnato da norme che siano capaci di punire di gli abusi senza incentivare contenziosi meramente speculativi. C’è ancora tempo per rimediare agli effetti di questa scelta, adottando in sede di conversione del decreto misure capaci di rispondere ai rilievi comunitari senza produrre effetti come quello appena descritti, a partire dall’abbreviazione della durata dei processi.


Fonte: SOLE24ORE