Pensionamento del datore e licenziamento collettivo
- 28 Agosto 2024
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Il pensionamento del datore di lavoro e la conseguente cessazione dei rapporti di lavoro costituisce motivo, al raggiungimento della soglia prevista dalla norma, per l’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, con conseguente obbligo di informazione e consultazione delle parti sociali. È questa l’interessante conclusione della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia Ue l’11 luglio (Causa C-196/23). La questione sottoposta alla Corte concerneva il licenziamento di oltre 50 lavoratori da parte di un imprenditore spagnolo andato in pensione per vecchiaia, con conseguente dismissione della propria azienda. Secondo i giudici lussemburghesi la nozione di «licenziamento» ai sensi della direttiva 98/59/CE (la direttiva che disciplina i licenziamenti collettivi) non è necessariamente collegata alla volontà del datore di lavoro (mancante in caso di suo pensionamento) e anche nel caso di cessazione definitiva dell’impresa per cause estranee al volere imprenditoriale non è esclusa, a priori, la applicabilità della direttiva. La normativa spagnola (Estatuto de los Trabajadores) prevede espressamente che nei casi di decesso, pensionamento o incapacità del datore di lavoro, il contratto di lavoro individuale si estingue, fatta salva la estinzione della personalità giuridica del contraente che rende possibile, invece, la applicabilità della procedura di licenziamento collettivo. È appena il caso di ricordare come la stessa Corte, in un’altra sentenza del dicembre 2009 (causa C 323/08), avesse pacificamente ammesso la legittimità di una normativa nazionale in base alla quale la cessazione dei contratti di lavoro di più lavoratori causata dal decesso del datore di lavoro non è qualificata come «licenziamento collettivo» e, pertanto, si sottrae agli obblighi procedurali previsti dalla citata direttiva. Non è però il caso del semplice pensionamento del datore il quale, differentemente dal datore deceduto, è in grado di condurre consultazioni dirette con le parti sociali, evitando o almeno attenuando le conseguenze dei licenziamenti. Del resto, ricorda il punto 30 della sentenza, le consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori non sono unicamente dirette a ridurre o evitare i licenziamenti collettivi, bensì riguardano, inter alia, le possibilità di attenuare le conseguenze di tali licenziamenti ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. Non sono valse, al riguardo, le pur giustificate rimostranze opposte dal datore di lavoro il quale, alla stregua del lavoratore da esso impiegato, legittimamente dovrebbe poter andare in pensione e porre fine ai contratti di lavoro che ha concluso, avvenimento del resto prevedibile per il lavoratore che assuma gli obblighi discendenti da un contratto di lavoro a tempo indeterminato con una persona fisica. È bene ricordare come la disciplina dei licenziamenti collettivi, dopo la risalente pronuncia della Corte di giustizia Ue 8 giugno 1982, causa n. 91/81, sia quasi interamente di derivazione europea (precedentemente era affidata ad accordi estemporanei interconfederali).
Fonte:SOLE24ORE