Interposizione di manodopera, le conseguenze della nullità

Interposizione di manodopera, le conseguenze della nullità

  • 9 Agosto 2024
  • Pubblicazioni
La nullità dell’interposizione di manodopera, dichiarata per violazione di norme imperative, comporta l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore interessato e la parte datoriale. Ma cosa accade se, per fatto imputabile a quest’ultimo, non sia possibile ripristinare il rapporto? A rispondere è la Corte di cassazione (sezione lavoro, 25 luglio 2024, n. 20722), che chiarisce che tale situazione determina l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere tutte le retribuzioni che sarebbero spettate al lavoratore a partire dalla messa in mora e, quindi, dall’offerta della prestazione lavorativa. Tale conclusione, raggiunta analizzando l’articolo 28 del Dlgs 276/2003, deriva proprio dall’interpretazione costituzionalmente orientata di tale norma, che nulla prevede in caso di mancato ripristino del rapporto di lavoro e che va quindi letta tenendo conto della regola sinallagmatica della corrispettività posta dagli articoli 3, 35 e 41 della Costituzione. Per i giudici di legittimità, in buona sostanza, una volta che il giudice abbia dichiarato la nullità dell’interposizione di manodopera, la pronuncia giudiziale determina il riconoscimento del rapporto di lavoro e, quindi, l’insorgere degli ordinari obblighi in capo alle parti. Se il lavoratore ha formalmente offerto la propria prestazione lavorativa, il datore di lavoro è pertanto tenuto a pagare le retribuzioni e lo è anche se di fatto la prestazione lavorativa manchi per rifiuto di riceverla (ovverosia nel caso della cosiddetta mora credendi). Se si giungesse a una diversa conclusione, del resto, la sentenza risulterebbe del tutto inutile e il committente e l’appaltatore potrebbero proseguire il contratto nullo in quanto in contrasto con la legge, nonostante il diritto fatto valere in giudizio con esito favorevole dal dipendente. La Corte di cassazione, nella medesima occasione, ha specificato che lo stesso principio deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui con sentenza venga accertata l’illegittimità della cessione di ramo d’azienda. In questo caso, l’obbligazione retributiva che grava sul cedente che rifiuta la controprestazione lavorativa senza giustificazione non subisce alcun effetto estintivo dalla corresponsione delle retribuzioni da parte del destinatario della cessione che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla sua messa a disposizione in favore dell’alienante. Infatti, le somme che il datore inadempiente deve corrispondere al lavoratore hanno natura retributiva e non risarcitoria e quindi non si applica il principio della compensatio lucri cum damno che avrebbe determinato la detraibilità di quanto effettivamente altrove percepito.


Fonte: SOLE24ORE