IL LAVORO ESTERO
- 6 Febbraio 2024
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Distacco
Con il termine distacco (art. 30 D. Lgs. 276/2003; Circ. Min. Lav. 15 gennaio 2004 n° 3) si intende la situazione in cui un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (distaccatario) al fine di svolgere una determinata attività lavorativa.
La suddetta attività può essere eseguita anche parzialmente, continuando a svolgere presso il distaccante la restante parte della prestazione.
I requisiti essenziali del distacco sono:
● la titolarità del rapporto che deve restare in capo al datore di lavoro distaccante. Il datore di Lavoro originario mantiene il potere disciplinare ma delega al datore di lavoro distaccatario il potere direttivo sull’attività lavorativa svolta dal lavoratore.
● l’interesse del datore di lavoro distaccante nell’inviare il dipendente a svolgere l’attività presso un’altra azienda. Si noti che l’interesse deve essere specifico, concreto e persistente (ad esempio la necessità di formazione, di gestione di un progetto comune o il trasferimento di competenze tecniche), in caso contrario si tratterebbe di una forma di somministrazione illecita;
● il periodo di attività che deve essere temporaneo, fermo restando che la durata del distacco deve essere funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante.
Ai fini del distacco non è richiesto il consenso del lavoratore ma, nel momento in cui si dovesse verificare una violazione delle condizioni sopra indicate, il lavoratore potrà fare ricorso e richiedere l’instaurazione del rapporto di lavoro con il datore di lavoro distaccatario.
Al riguardo, il termine “distacco” assume, nell’ambito della normativa Comunitaria, un significato più ampio rispetto alla legislazione italiana. Il “distacco” come previsto dalla Legge Biagi D. Lgs. 276/2003, è una normativa tipicamente e unicamente italiana, applicabile in Italia, e non ha nulla a che vedere con il “distacco transnazionale”, che è anche sinonimo di “trasferta” in ambito comunitario.
Il distacco transnazionale
Il distacco transnazionale viene disciplinato dalla Direttiva (UE) 2018/957 del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018, recante modifica della direttiva 96/71/CE la quale, ai sensi dell’art. 1, definisce il lavoratore distaccato come colui che “per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui lavora abitualmente.”
Per quanto riguarda il distacco esso è sempre temporaneo. Infatti è possibile distaccare un lavoratore solo per un periodo di tempo limitato e, per l’intera durata dello stesso, deve esistere un interesse produttivo del distaccante, che non deve coincidere con quello della mera somministrazione di lavoro altrui.
Affinché sussista un distacco “genuino” è necessaria la presenza di una delle seguenti condizioni:
● l’azienda abbia stipulato un contratto di servizi con un destinatario che opera in un altro Stato membro;
● l’azienda desideri distaccare un lavoratore presso uno stabilimento o un’impresa appartenente al medesimo gruppo nel territorio di un altro Stato membro;
● un'agenzia di somministrazione intenda inviare un lavoratore presso un'impresa utilizzatrice avente la sede o il centro di attività nel territorio di un altro Stato membro.
La direttiva 96/71/CE, recepita dall’ordinamento italiano con Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n.72, prevede che ai lavoratori distaccati vengano garantite le stesse condizioni di lavoro vigenti nel paese ospitante con riferimento al cosiddetto “nocciolo duro”, ovvero:
a) periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;
b) durata minima delle ferie annuali retribuite;
c) tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; il presente punto non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria;
d) condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, in particolare la cessione temporanea di lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo;
e) sicurezza, salute e igiene sul lavoro;
f) provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;
g) parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione.
Se il periodo di distacco è superiore a 12 mesi (o 18 mesi presentando una notifica motivata al paese ospitante) è necessario garantire al personale tutte le condizioni di lavoro obbligatorie del paese ospitante e non soltanto quelle sopra esposte (c.d. “nocciolo duro”), ad eccezione di quelle relative alla risoluzione dei contratti o alle pensioni integrative.
Nel caso in cui dette condizioni di lavoro siano più favorevoli nel paese in cui si svolge abitualmente la propria attività lavorativa, allora vengono mantenute le disposizioni del paese d’origine.
Il distacco è appunto caratterizzato dalla temporaneità dello svolgimento della prestazione presso un paese estero, con riferimento soprattutto al carico previdenziale: infatti il Regolamento CE n. 883/2004 stabilisce che un lavoratore italiano inviato in un paese membro possa rimanere iscritto alla previdenza italiana per un periodo massimo di 24 mesi (c.d. distacco previdenziale), in deroga al principio di territorialità che comporterebbe l’applicazione di una doppia contribuzione. Per attestare l’applicazione del regime previdenziale italiano nei periodi di distacco all’estero è necessario effettuare la comunicazione all’INPS in modalità telematica, che dovrà contenere le indicazioni relative al distacco (la durata del distacco, gli estremi dell’azienda ospitante ecc.); di conseguenza l’Istituto rilascerà il modello A1.
Una comunicazione simile dovrà essere effettuata anche per le prestazioni assistenziali verso l’INAIL, il quale rilascerà a sua volta il modulo PD DA1.
Trasferta
Con il termine trasferta (o missione) si intende invece il mutamento temporaneo del luogo di svolgimento della prestazione da parte del lavoratore in una località differente rispetto a quella in cui esegue quotidianamente la propria attività lavorativa.
In questo campo, il datore di lavoro non incontra limiti generali al suo potere di assegnare il lavoratore in trasferta, tenendo conto dell’art. 41 della Costituzione e di ciò che viene riportato all’interno della Contrattazione Collettiva, la quale generalmente disciplina in maniera esaustiva tale tematica prevedendo la corresponsione di un’indennità (c.d. Diaria) diretta ad integrare la retribuzione del lavoratore delle spese di viaggio, vitto ed alloggio, nonché del disagio subito a seguito del suo spostamento per motivi lavorativi.
Quando la trasferta diventa una normale modalità di svolgimento della prestazione (mancanza di occasionalità) e non sussiste più un legame funzionale con la sede di lavoro, si parla di trasfertismo. Di conseguenza il lavoratore non avrà più un’unica sede di lavoro, ma dovrà rendere la prestazione in luoghi sempre diversi.
La caratteristica fondamentale della trasferta è appunto la temporaneità dello svolgimento della prestazione, la quale ci permette di distinguerla dal trasferimento (di cui si dirà in seguito), che ha invece carattere definitivo e non ha limiti di durata. Si noti anche che la permanenza del legame del lavoratore con l’abituale luogo di lavoro e l’esecuzione della prestazione lavorativa in risposta ad un ordine di servizio imposto dal datore di lavoro sono elementi caratterizzanti la trasferta. Si precisa che il consenso del lavoratore non è rilevante ai fini dell’invio dello stesso in missione (Cass. n. 20833 del 15/10/2015).
Da un punto di vista fiscale invece è necessario fare alcune distinzioni, la principale è legata al luogo della trasferta. Infatti in caso di:
● trasferta all’interno del territorio comunale: i rimborsi o le indennità erogate ai dipendenti concorrono a formare il reddito;
● trasferta al di fuori dal territorio comunale: i rimborsi e le indennità erogate ai dipendenti non sono soggetti ad imposizione fiscale.
La normativa prevede tre sistemi di rimborso della trasferta, ciascuno con proprie peculiarità di trattamento previdenziale e fiscale. In particolare, è possibile scegliere di adottare uno dei seguenti metodi:
● il rimborso spese con metodo analitico
● il rimborso forfettario in misura fissa
● il rimborso misto.
Il rimborso spese con metodo analitico (c.d. Rimborso a piè di lista)
Il metodo analitico prevede che il lavoratore venga rimborsato del totale dei costi sostenuti durante la trasferta sulla base di un’esposizione dettagliata delle voci di spesa.
Il trattamento contributivo e fiscale riservato ai rimborsi per le spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto documentati prevede l’esenzione totale dalla base imponibile; mentre, per le altre spese anche non documentabili, ma analiticamente attestate dal dipendente (ad es. lavanderia, parcheggio, mance, …) il limite di esenzione è pari ad € 15,49 al giorno in Italia, elevati ad € 25,82 all’estero.
Il rimborso forfettario in misura fissa
Il metodo di rimborso forfettario prevede invece la corresponsione di una cifra in misura fissa, per ogni giornata di trasferta, a copertura delle spese di vitto e alloggio del lavoratore, indipendentemente dalle spese effettivamente sostenute.
Gli importi minimi erogabili per l’indennità di trasferta di tipo forfettario sono in genere regolati dai Contratti Collettivi.
Il trattamento contributivo e fiscale riservato all’indennità forfettaria erogata al lavoratore è il seguente:
● Esenzione da contributi ed imposte fino ad € 46,48 al giorno (al netto delle spese di viaggio e trasporto) per le trasferte su territorio italiano;
● Esenzione da contributi ed imposte fino ad € 77,47 al giorno (al netto delle spese di viaggio e trasporto) per le trasferte svolte all’estero.
Si noti che le spese di trasporto, debitamente documentate, sono sempre totalmente esenti.
Il rimborso misto
Infine, il sistema di rimborso misto si ha quando al lavoratore viene corrisposta sia un’indennità di trasferta fissa, sia il rimborso analitico delle spese per il vitto e/o per l’alloggio.
In questo caso, la normativa fiscale (art. 51, c. 5, DPR 917/86) stabilisce che:
● se sono rimborsate analiticamente le spese di vitto o le spese di alloggio, i limiti di esenzione giornaliera sono pari ad € 30,98 per le trasferte in Italia ed € 51,64 per le trasferte all’estero;
● se sono rimborsate analiticamente sia le spese di vitto che le spese di alloggio, i limiti di esenzione giornaliera sono pari ad € 15,49 per le trasferte in Italia ed € 25,82 per le trasferte all’estero.
Anche in questo caso le spese di trasporto documentate sono esenti ed escluse dai limiti sopra menzionati.
Un lavoratore, oltre che all’interno dello Stato di origine, può essere inviato in missione anche in uno stato estero, sia all’interno dell’Unione Europea che in uno stato extra-UE.
L’Italia ha stipulato con alcuni paesi extraeuropei apposite convenzioni internazionali di sicurezza sociale per tutelare i lavoratori italiani che svolgono attività lavorativa all’estero. Ogni convenzione opera in modo autonomo rispetto alle altre convenzioni e stabilisce tra i Paesi contraenti i requisiti da osservare e le prestazioni da erogare. I principi fondamentali delle convenzioni internazionali riguardano:
● la parità di trattamento;
● la territorialità della legislazione applicabile: viene applicata la legislazione relativamente alla sicurezza sociale del luogo dove viene effettivamente svolta la prestazione;
● l'esportabilità delle prestazioni: è previsto che le prestazioni non siano soggette a riduzione, sospensione o soppressione per il fatto che l’avente diritto trasferisca la propria residenza nell’altro Paese;
● totalizzazione dei periodi assicurativi compiuti nei vari Paesi contraenti per il raggiungimento del diritto alle prestazioni.
I Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto nel corso degli anni accordi e convenzioni di sicurezza sociale sono: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Capo Verde, Croazia, Isole del Canale, ex Jugoslavia, Principato di Monaco, San Marino, Santa sede, Slovenia, Svizzera, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela.
In Italia i concetti di “trasferta” e “distacco” (come detto in precedenza) hanno significati diversi, mentre in ambito Europeo hanno uguale significato. Per questo motivo durante la trasferta all’interno dell’area Schengen l’azienda dovrà obbligatoriamente richiedere all’INPS il Modello A1 (funzionale a stabilire in quale Stato dovranno essere versati i contributi previdenziali), anche se per pochi giorni di lavoro. In relazione, invece, alle trasferte/distacchi al di fuori dell’area Schengen andranno verificate, Nazione per Nazione, le modalità di ingresso e la relativa tempistica.
Infine, per quanto riguarda gli aspetti sanitari e di sicurezza, l’azienda dovrà richiedere all’INAIL il modello PD DA1 (che dà diritto, alla persona che si sposta, risiede o soggiorna in uno Stato membro dell'Unione Europea diverso da quello in cui è assicurata, alla copertura sanitaria in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale).
Trasferimento
Il trasferimento (art. 2103, c. 8, c.c.), al contrario della sopra riportata trasferta, consiste in uno spostamento definitivo e senza limiti di durata del luogo di lavoro del dipendente.
Il luogo di lavoro può essere stabilito dalle parti nel contratto individuale con un patto di inamovibilità, che impone il consenso bilaterale per ogni spostamento, ma in assenza di clausole particolari la determinazione e la modifica del luogo rientrano nel potere direttivo del datore di lavoro (art. 2103 cc). Il trasferimento coinvolge gli interessi sia del lavoratore sia del datore di lavoro, ma la legge considera prevalente l’interesse dell’imprenditore. Il trasferimento può avvenire su richiesta del lavoratore, nel qual caso il datore di lavoro è tenuto a valutare la sua richiesta sulla base del rispetto dei principi di buona fede e correttezza; diversa è invece l’ipotesi in cui il trasferimento venga attuato nel solo interesse del lavoratore per evitare la perdita del posto di lavoro nell’impossibilità di una prosecuzione dell’attività nella sede d’origine.
Il trasferimento è legittimo se sono presenti “comprovate ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo” che possono riguardare sia l’unità produttiva di provenienza sia l’unità produttiva di destinazione, e il loro nesso di causalità con il lavoratore trasferito, senza sindacare nel merito le scelte dell’imprenditore. Il termine “comprovate” indica che la dimostrazione di tali ragioni sarà un onere che verrà assolto nel corso del giudizio.
Viene considerato legittimo il trasferimento di un lavoratore che si trova in una situazione di forte contrasto con i colleghi tale da determinare forti ripercussioni sul regolare svolgimento dell’attività lavorativa (c.d. trasferimento per incompatibilità ambientale).
Non c’è onere del datore di lavoro di provare l’inutilizzabilità del lavoratore nella sede originaria in quanto è sufficiente dimostrare l’impiego del lavoratore interessato nell’unità di destinazione, purché ciò non comporti una lesione della professionalità, la cui tutela è prevalente rispetto alle esigenze del datore di lavoro.
La legge non richiede la forma scritta obbligatoria, e nemmeno la previsione di uno specifico obbligo di preavviso, che però può essere richiesto se previsto dal contratto collettivo applicato in azienda.
In alcuni casi, la legge prevede dei limiti al potere di trasferimento del lavoratore presso un’altra sede.
Questi limiti riguardano i lavoratori con handicap o che assistono familiari con handicap, lavoratrici madri dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, e tutti quei trasferimenti attuati allo scopo di discriminare il lavoratore per ragioni sindacali, per la partecipazione a scioperi, lingua, sesso, orientamento sessuale, opinioni politiche. Nel caso si volesse operare un trasferimento a titolo di sanzione disciplinare, è necessario che ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva, in caso contrario il trasferimento risulterebbe illegittimo.
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